Il metodo Barca non ha funzionato

Quindici anni dopo è evidente l'errore di non misurarsi con la realtà su cui si lavora

19 Febbraio 2014

Corriere del Mezzogiorno

Franco Debenedetti

Presidente, Fondazione IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Sulla trappola in cui è cascato Barca, con le confidenze fatte allo pseudo-Vendola, si sono scatenati i pettegolezzi.
Ma se guardiamo alla sostanza politica delle sue affermazioni, dov’è la notizia? Che le identità di Matteo e di Fabrizio siano totalmente diverse è palese.

La notizia è ciò di cui non si è parlato: la politica verso il Mezzogiorno. Eppure per quello che ha fatto dal 1996 ad oggi, all’Ocse, al Tesoro, all’Economia, al Governo, il nome di Barca è diventato sinonimo delle «politiche di coesione». Mentre sull’indirizzo che avrebbe potuto dare alla politica economica si sarebbe potuto discutere, non c’è dubbio che, con lui, la politica per il Mezzogiorno sarebbe stata business as usual. Eppure stiamo parlando di qualcosa che è costata 2 o 3 volte il terremoto dell’Irpinia: su questo sono caduti dei ministri, sulla politica di coesione si diventa ministro. Obbiettivo e cardine della nuova politica per il Mezzogiorno era il miglioramento di qualità dell’amministrazione, renderla capace di redigere progetti «bancabili». Anche di consuntivare i risultati.

Quindici anni dopo è evidente l’errore di non misurarsi con la realtà su cui si lavora: si può essere costruttivisti anche nel decentramento. Un errore tipico della sinistra. Era capace quella struttura amministrativa di pensare a se stessa, di sostenere l’ultima grande occasione di un gigantesco investimento per tutto il Paese? Non era il caso, vista la realtà regionale su cui era giocoforza appoggiarsi, di puntare ad alcuni grandi obbiettivi? I livelli di governo si definiscono dopo avere definito i problemi. Indipendentemente dal livello di efficienza delle amministrazioni delle Regioni, i problemi del Mezzogiorno ne trascendono i limiti, perché sono tipicamente problemi di rete: dall’elettricità, ai porti, alla banda larga, all’Alta Velocità. Ci sono nomi che sono diventati simboli: Napoli-Bari, Salerno-Reggio Calabria. Quando i problemi riguardano un terzo del Paese, bisogna guardare oltre la dimensione regionale. Con buona pace di Bruxelles, il riferimento, non sono le aree depresse che ci sono un po’ ovunque in Europa, ma la Germania o l’Europa dell’Est. Se si riducono le risorse specifiche, ancor più bisogna guardare ai problemi e agli obbiettivi generali. Il Mezzogiorno è il problema dell’Italia, ma i problemi del Mezzogiorno sono i problemi dell’Italia.

Al Nord come al Sud il funzionamento della PA è il vero ostacolo sulla strada di ogni progetto riformatore. Che sia negli uffici delle direzioni generali dei ministeri, nelle aule dei TAR, nei Consigli di amministrazione delle società municipali, giù giù fino agli assessorati di piccoli Comuni, è lì che si saldano gli interessi a non cambiare. Quello che impedisce di cambiare, accorpando ospedali e tribunali, riducendo l’impronta dello Stato, anche solo mandando gli uscieri dei ministeri a fare i guardiani dei musei, è il costrutto giuridico della job property, per cui il diritto al lavoro si identifica nel diritto al posto di lavoro, a quel posto di lavoro: per chi ce l’ha, ovviamente. L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ne è il simbolo. Politica del Mezzogiorno é anche pensare a quanto può fare per il Mezzogiorno eliminare gli ostacoli che in tutta Italia sono disseminati sul cammino delle riforme. Incominciando magari dall’art. 18.

Dal Corriere del Mezzogiorno, 19 febbraio 2014
Twitter: @FDebenedetti 

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