Mettere la polvere sotto il tappeto è costume di tutti i governi. L’ineffabile è quando la polvere è costituita dal debito pubblico. Erano 2.283,7 miliardi di euro a settembre, secondo la Banca d’Italia, mentre il pauroso contadebito aggiornato dall’Istituto Bruno Leoni secondo dopo secondo segna ora 2.309 miliardi. Un primato di cui non ci si può vantare.
Ha destato rabbia l’intervento di Jyrki Katainen, il quale ha avuto il pregio di rammentare una verità che i governanti di casa nostra tendono a nascondere: un debito così elevato rallenta la crescita ed è foriero di pessime conseguenze in termini d’interessi da pagare, non appena questi saliranno. Il risanamento dei conti pubblici, però, come ha ieri ricordato Carlo Cottarelli, non è in cima alle priorità politiche: anzi, non sta nemmeno al secondo o terzo o decimo posto. Semplicemente, si rinvia.
Pier Carlo Padoan è maestro nell’elargire parole vacue rimandando qualsiasi accenno di rientro del debito e nello spargere immotivato ottimismo.
Così, lettere e minacce europee, conti pubblici dissestati, manovre, aggiustamenti, tutto è differito a primavera, ovviamente dopo le elezioni. Sarà il governo futuro, quale che ne sia il colore, ad accorgersi della polvere (che di questo passo s’innalzerà verso i 2.400 miliardi) e a farsi carico delle soluzioni senza avere preoccupazioni elettorali. Tanto, saranno meri tamponi. Se la cultura media dei politici nostrani non fosse quella dei Luigi Di Maio, si potrebbe opinare che ambiscano a imitare Giulio Cesare. Theodor Mommsen scrive che Cesare era «iniziato nell’arte misteriosa di far sempre debiti e di non pagarli mai». Peccato che i nostri reggitori non ci pensino nemmeno a tentare di imitarlo come statista.
Da Italia Oggi, 18 novembre 2017