Dal 2009, l’Autorità Antitrust invia al governo le sue segnalazioni per predisporre la legge annuale per la concorrenza. Peccato che i governi succedutisi dal 2009 ad oggi questa legge annuale non hanno mai trovato il tempo di licenziarla. Pare che il ministro Guidi voglia segnare in questo senso una positiva discontinuità con i suoi predecessori. L’impressione, però, è che oggi la priorità sul fronte delle liberalizzazioni non sia andare avanti: ma, più modestamente, evitare di tornare indietro, a un’economia ancora più presidiata dallo Stato che pure molti guardano con nostalgia. Alcuni esempi, dalla cronaca politica degli ultimi giorni.
L’Antitrust ricorda che «assetti regolatori meno restrittivi consentono dì generare reddito e occupazione; la rimozione delle barriere all’entrata e dei vincoli ingiustificati che gravano sulle imprese incrementa i tassi di investimento di lungo periodo e la crescita della produttività». Se molto resta da fare, qualche passo in questa direzione è stato fatto, negli ultimi vent’anni. Per esempio, il commercio è stato progressivamente liberalizzato e da ultimo il governo Monti ha abolito i giorni di chiusura obbligatoria. Il che non significa che gli esercenti oggi debbano sottostare a una «apertura obbligatoria». Al contrario, si chiamano «liberalizzazioni» proprio perché restituiscono «libertà» alle persone e alle imprese. In questo caso, la libertà di intercettare nel modo che si ritiene migliore le necessità dei propri clienti, alzando o tenendo abbassata la saracinesca, come più pare opportuno al singolo commerciante e non ad altri che decidono per lui.
La Commissione Industria della Camera si appresta a discutere una norma che istituisce nuovamente le chiusure obbligatorie: dodici festività l’anno, di cui sei a discrezione dei Comuni. Se la norma passasse, qualcun altro tornerebbe a decidere al posto del singolo commerciante. L’Antitrust sostiene «l’esigenza di promuovere una cultura della concorrenza diffusa a tutti i livelli di governo». Nei giorni scorsi un articolo di Bloomberg ha suggerito che il governo starebbe pensando ad allargare l’ambito di applicazione dei cosiddetti golden power, per impedire a Telecom Italia di vendere la propria filiale brasiliana.
Come ha ricordato Massimiliano Trovato (leoniblog), la logica (già discutibile) dei «poteri speciali» è quella di prevenire l’ingresso di operatori stranieri in Italia in ambiti ritenuti «strategici». Ma sulla base di quale principio tali «poteri» dovrebbero essere utilizzati per decidere ciò che le imprese italiane possono o non possono fare all’estero? Anche «voci» e «rumor» come questi rivelano il tasso di penetrazione della «cultura della concorrenza». L’Antitrust raccomanda di ridisegnare la sanità italiana con l’obiettivo di «garantire la libertà di iniziativa economica e aumentare la concorrenza tra le strutture sanitarie». L’Autorità guarda alla riforma della sanità del 1992 e soprattutto al cosiddetto «modello lombardo» che, pure imperfetto come tutte le cose dì questo mondo, ha garantito servizi di elevata qualità a `fronte di una spesa sanitaria sotto controllo, grazie proprio a un certo grado di competizione fra erogatori pubblici e privati. Altri Paesi che hanno riformato la loro sanità Olanda, Germania, Spagna hanno seguito strade non dissimili da quella presa dalla Lombardia, puntando sulla concorrenza per ridurre i costi senza restringere il perimetro del servizio universale. Il Presidente della Lombardia ha presentato di recente un «Libro Bianco» che vanta i meriti del «modello lombardo», salvo proporne lo stravolgimento. Al posto della competizione, si vorrebbe una «regia» unitaria, che renda residuale il ruolo del privato e accentri più potere nelle mani dei pianificatori regionali. Si contempla anche un’opera di bonifica del vocabolario: scomparirebbe l’odiata «azienda», per tornare a una più rassicurante «agenzia sanitaria locale».
Speriamo che quelle elell’Antitrust non restino prediche inutili, ma soprattutto che non si proceda a smontare quanto di buono è stato fatto nella direzione di una più efficace separazione fra economia e Stato: privatizzando e liberalizzando. La libertà non basta a garantire la crescita, però il suo contrario cioè l’abbraccio asfissiante di regolatori, pianificatori, ministri, assessori regionali; eccetera è la strada sicura per il declino.
Da La Stampa, 9 luglio 2014
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