27 Marzo 2021
Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Nell’ultimo anno abbiamo assistito a trasformazioni profonde della vita associata che hanno evidenziato la fragilità della società civile e l’assenza di un’opinione pubblica dotata di spirito critico. Con il diffondersi del virus si è subito constatato come anche in assenza di conoscenze sufficientemente fondate, in grado di permetterci di fronteggiare in maniera adeguata l’emergenza, i governanti sarebbero stati indotti ad agire e in modo massiccio: sospendendo libertà, bloccando attività, interferendo sempre più nelle relazioni tra i cittadini.
Questo atteggiamento è stato abbastanza generalizzato, poiché se un Esecutivo avviava iniziative (qualsiasi esse fossero) e il virus continuava a diffondersi, si poteva comunque dire che si stava combattendo una guerra durissima ed era anche possibile accusare quanti erano meno rispettosi delle nuove regole. Viceversa, un governo che non avesse fatto nulla sarebbe stato sommerso da critiche.
Sullo sfondo di tali fenomeni c’è la logica intrinseca alla vita politica, secondo la quale la scelta di «fare» – anche sbagliando – è sempre preferibile a quella del «non fare». Per giunta, le classi politiche si sono trovate a gestire una situazione difficile in un’epoca caratterizzata da un profluvio di informazioni spettacolari (il cosiddetto infotainment) e soprattutto in ragione della diffusa attitudine a credere che possano esistere situazioni a «rischio zero».
Mentre nel mondo anglosassone il dibattito è stato più articolato, nell’Europa continentale quanti hanno difeso le politiche di contenimento hanno lasciato intendere che esse non avrebbero avuto particolari conseguenze sulla salute delle istituzioni democratiche, della vita sociale, del sistema educativo e via dicendo. Ben pochi si sono domandati se per evitare taluni rischi se ne stavano assumendo altri e magari più gravi. Nessuno ha preso in considerazione quella che in economia viene chiamata «analisi costi-benefici».
La drammatizzazione della crisi ha dunque sposato la prospettiva di un’emergenza da affrontare a qualsiasi prezzo. Talvolta qualcuno provava a ricordare come lo stesso sistema sanitario fosse messo in difficoltà da talune scelte (in vari casi le cure contro il cancro e altre patologie hanno subito seri ostacoli), ma quelle considerazioni sono cadute nel vuoto. Ci si è illusi non soltanto di sapere come contrastare il diffondersi della malattia (arrivando a sostenere, ad esempio, che perfino i coprifuoco notturni fossero utili), ma si è pure difesa l’idea che per nessun motivo fosse legittimo correre il minimo rischio.
Tutta questa vicenda ha generato un cortocircuito quando si è sparsa la convinzione che il vaccino AstraZeneca potesse causare problemi: anche se nel Regno Unito più di 10 milioni di persone l’hanno utilizzato senza che, a detta dei medici britannici, si siano riscontrate difficoltà. Naturalmente la questione è di competenza degli scienziati, ma in ogni caso è evidente che ben pochi hanno consapevolezza che ogni scelta implica pericoli e opportunità. D’altra parte, il termine «farmaco», nella sua radice greca, rinvia al «rimedio» ma anche al «veleno» (e in effetti tutte le terapie comportano, o possono comportare, controindicazioni).
Si è così assistito al penoso spettacolo di agenzie per il farmaco che, sotto la pressione di un’isteria generalizzata, prima sospendevano il vaccino e dopo pochi giorni tornavano sui loro passi. Contro le aspettative dei governanti, in breve il terrore verso il COVID-19 si è convertito in terrore verso il vaccino.
In realtà, non esistono soluzioni a «rischio zero» e ogni scelta comporta costi e benefici: se non si crea una diffusa consapevolezza di questa verità elementare, una demagogia abile a fare leva su una diffusa ipocondria può complicare sempre più la nostra esistenza. Bisogna allora abbandonare l’illusione che si possano evitare le incertezze della vita e che il paternalismo pubblico ci possa sollevare dall’onere della scelta. Non è così e non lo sarà mai.
dal Corriere del Ticino, 27 marzo 2021