Lo sconto sulle accise sui carburanti, che era stato già abbassato al 1° dicembre, terminerà a fine anno. E il governo non prevede alcun rinnovo. Ma questa non è necessariamente una cattiva notizia. Anzi, la buona notizia è che, guardando i dati, la decisione impopolare del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di ridurre il taglio da 25 a 15 centesimi, che includendo l’Iva vuol dire uno sconto che scende 30,5 a 18,3 centesimi al litro è stata una scelta saggia. Perché la costante discesa dei prezzi dei carburanti ha già compensato l’aumento delle accise.
Le rilevazioni settimanali del ministero dell’Ambiente infatti mostrano che nell’ultima settimana di novembre, quando le accise erano ridotte di 25 centesimi, il prezzo medio alla pompa era di 1,66 euro al litro per la benzina e 1,75 euro per il gasolio. Mentre le rilevazioni del 19 dicembre, l’ultima settimana disponibile, mostrano che il prezzo alla pompa (comprensivo di un aumento delle accise di 10 centesimi) è di 1,66 euro per la benzina e 1,72 euro per il gasolio. In pratica il calo dei prezzi dei prodotti petroliferi ha assorbito l’aumento.
Ma questa misura, fortemente contestata dalle opposizioni nei media e nelle piazze, ha fatto risparmiare al Tesoro in un solo mese 390 milioni di euro che il governo, come suggerito da Fmi e Commissione europea, ha potuto indirizzare verso i redditi più bassi con misure più selettive. E ora che i margini di bilancio si fanno sempre più stretti, la premier Giorgia Meloni e il ministro Giorgetti sono intenzionati a proseguire sulla stessa strada.
L’eliminazione dello sconto sulle accise è un provvedimento razionale, che avrebbe dovuto avviare già qualche mese fa il governo Draghi in modo da consentire un ritorno più soft alla normalità. In ogni caso, uno scalino pari al 40 per cento dello sconto è stato già salito a dicembre e ne rimane un altro di 18 centesimi (15 centesimi più Iva) da salire il 1° gennaio 2023. Il minore esborso per il Tesoro sarà pari a circa 600 milioni di euro al mese. Sarebbe stata preferibile un’uscita più graduale, ma non dovrebbe essere uno choc forte per i consumatori soprattutto se i prezzi dei carburanti proseguiranno nella loro discesa.
Bisogna infatti considerare che già adesso il prezzo alla pompa è inferiore ai livelli pre-guerra: al 19 dicembre, come detto, la benzina costava 1,66 euro al litro e il gasolio 1,72 euro; mentre il prezzo medio a febbraio 2022 prima dell’invasione dell’Ucraina era di 1,84 euro per la benzina e 1,72 euro per il gasolio. Far tornare le accise ai livelli normali porterebbe la benzina al prezzo di febbraio 2022 e il gasolio 18 centesimi sopra. Si tratta comunque di prezzi inferiori ai picchi di giugno 2022 quando, con uno sconto pieno di oltre 30 centesimi (25 centesimi più Iva) la benzina era a 2,3 euro al litro e il gasolio a 1,97 euro.
Non è affatto una scelta semplice per il governo, a maggior ragione perché composto da forze politiche come Fratelli d’Italia e Lega che da sempre promettono l’abolizione delle accise, ma si tratta di una scelta necessaria e in una certa misura equa. La necessità è imposta, come detto, dallo spazio fiscale molto stretto. E questa misura è costata circa 1 miliardo di euro al mese quando era piena e 600 milioni a dicembre, dopo che è stata ridotta. Per giunta l’Italia è il paese che in Europa ha fatto il taglio delle accise più consistente sul gasolio e il secondo, dopo la Germania, sulla benzina. E se prima era il fisco italiano sui carburanti era il più pesante d’Europa, poi è sceso sotto alla media Ue, che include paesi con redditi molto inferiori.
L’equità, invece, riguarda il fatto che oltre a essere molto oneroso si tratta di un sussidio generalizzato, cioè senza distinzione di reddito. Questo lo rende anche molto iniquo, dato che i più ricchi consumano una maggiore quantità di carburanti e di conseguenza ottengono un beneficio maggiore, pur avendo la capacità economica per sopportare i costi (che per giunta sono in costante calo). Su questo punto, lo scorso ottobre l’Ufficio parlamentare di Bilancio ha pubblicato uno studio sugli effetti distributivi dell’aumento dei prezzi e delle misure di sostegno alle famiglie. L’analisi mostra come i110 per cento più ricco della popolazione abbia beneficiato 6,5 volte di più rispetto al 10 per cento più povero dei 7,7 miliardi spesi da marzo a ottobre per abbassare le accise. E dato che i 21 miliardi contro il caro energia stanziati dal governo Meloni nella legge di Bilancio scadranno a marzo, il governo fa bene a unire la necessità dí bilancio all’equità se elimina gli aiuti generalizzati per puntare su misure più selettive basate su indicatori come il reddito e l’Isee per raggiungere le fasce sociali più povere.
Il governo può inoltre approfittare di questa situazione per riordinare le accise, come suggerisce l’Istituto Bruno Leoni nel report “Modeste proposte contro l’inflazione”. Da tempo, infatti, la differenza nelle accise su gasolio e benzina -pari a circa 11 centesimi al litro è considerata una distorsione catalogata come “Sussidio ambientalmente dannoso” dal Ministero dell’Ambiente. Il paese out dallo sconto è quindi anche un’opportunità per fissare un’accisa comune a un livello intermedio, che secondo l’Istituto Bruno Leoni per mantenere ínvarianza di gettito può essere fissato a 65 centesimi al litro, corrispondente a un aumento di 3,6 centesimi per il gasolio e a una riduzione di 7,5 centesimi per la benzina. Se lo facessero, Meloni e Giorgetti abolirebbero anche un importante Sussidio ambientalmente dannoso, cosa che non è mai riuscita ai loro predecessori.
Da Il Foglio, 23 dicembre 2022