23 Febbraio 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
A questo punto il referendum veneto si farà. Rompendo gli indugi e dopo avere interpellato più volte il governo, senza avere risposta, per ottenere un election day che potesse ridurre le spese, martedì sera la maggioranza regionale presieduta dal leghista Luca Zaia ha deciso di indire il referendum sull’autonomia, tenendo fede a un impegno assunto in campagna elettorale e dando risposta a una domanda forte che viene dalla società. In aula il voto è stato massicciamente a favore (38 sì, 1 no e 8 astenuti), ricevendo anche il sostegno di Forza Italia e dei grillini. Unici ad astenersi gli eletti del Pd.
Un dato è chiaro: il Veneto dei troppi imprenditori suicidi e delle imprese costrette a chiudere o andarsene, e quindi di un miracolo economico in larga misura ormai alle spalle, vuole una svolta. Il referendum non è certo in grado di condurre (sul piano economico, oltre che su quello giuridico) a quell’autogoverno di cui il mondo produttivo veneto ha bisogno, ma è vero che esso ci dice che i nodi politici stanno un po’ alla volta sebbene troppo lentamente venendo al pettine
Anche se nel resto d’Italia si percepisce poco di tutto ciò, la società veneta è attraversata da un forte desiderio di allontanarsi da Roma e fare da sé. Non si tratta di semplice nostalgia (anche se i mille anni della Serenissima pesano), ma invece del desiderio d’immaginare risposte all’altezza delle sfide attuali.
Il Veneto che muore di tasse, innanzi tutto, vuole riappropriarsi del «residuo fiscale»: della differenza tra quanto paga allo Stato e quanto riceve in servizi locali e nazionali. È insomma stanco di vedere sparire dalla regione tutti quei soldi (ogni anno più di 4mila euro a testa) che non producono sviluppo neppure altrove. E da qui nasce tale progetto di ottenere un’autonomia sul modello trentino che, lo sanno tutti, Roma non concederà mai.
Il dato politico è che inizia ad alzarsi il livello dello scontro. Un anno fa la Consulta ha giudicato incostituzionale, su richiesta del governo Renzi, un quesito referendario puramente consultivo sull’indipendenza: formulando un giudizio che di giuridico aveva ben poco. Non bastasse questo, nei giorni scorsi è stata pure annullata una legge regionale che conferiva ai veneti lo statuto di una minoranza. Il voto dell’altro giorno è forse il primo tentativo d’interpretare le esigenze di una società che non vuole chiudersi entro ristretti confini, ma chiede solo più libertà. Il Veneto che nei decenni scorsi è riuscito a imporre i propri marchi a livello globale, oggi non è disposto a declinare senza reagire. Perché quando a Venezia si chiede meno Italia, si chiede anche meno Stato e più libertà d’impresa.
Zaia parla di autonomia perché sa che nella regione questo progetto non spaventa nessuno e che molti veneti sognano di poter disporre dei privilegi di cui godono a Trento e Bolzano. Difficilmente, però, può pensare che si tratti davvero di un percorso realistico: anche solo per il fatto che, senza il contributo veneto, i già disastrati conti della finanza pubblica non tornerebbero mai più. Il presidente della Regione parla di un percorso da iniziare perché ormai sono in tanti da Verona a Treviso a ritenere che il sogno di un Veneto che si autogoverna possa presto diventare un progetto concreto: capace di trovare il sostegno di imprese, intellettuali e professionisti.
Il negoziato tra Italia e Veneto immaginato da Zaia dopo il referendum (che sarà, senza dubbio, ampiamente favorevole all’autonomia) non decollerà mai. Ma con quel voto a Roma suonerà una svelta che potrebbe cambiare l’intero scenario politico.
Da Il Giornale, 23 febbraio 2017