6 Aprile 2021
Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Ci sono momenti nei quali è particolarmente importante riuscire a dare un senso agli eventi. E’ quello che succede quando le cose vanno male. Così, non c’è da stupirsi se l’anniversario dell’inizio della pandemia ha coinciso con una proliferazione di teorie che, aggrappandosi a un fatto, suggeriscono che nulla sia come sembra e che gli eventi rivelino una regia più grande di loro. Prima c’è stato il caso McKinsey, con le speculazioni sulla «privatizzazione» del Recovery plan. Poi la sospensione del vaccino Astra Zeneca. L’applicazione del «principio di precauzione» ha rallentato la marcia delle inoculazioni e indebolito la legittimità di tutto il processo che haportato allo sviluppo e alla validazione dei vaccini. La posizione dei No Vax, oggi, è più forte. Le teorie del complotto affondano le loro radici in quello che gli psicologi sociali chiamano bias della negatività: una distorsione cognitiva per cui tendiamo tutti a esagerare l’importanza delle cose che vanno male, dimenticando quelle che invece funzionano bene. Ricordiamo tutti le rare volte in cui siamo stati maltratti al ristorante e non quelle, infinitamente più numerose, in cui ci è stato usato ogni riguardo; i treni che hanno accumulato straordinari ritardi, e non quelli arrivati puntuali. Proprio perché siamo molto sensibili a tutto ciò che non funziona, abbiamo bisogno di individuarne i responsabili.
Il complottismo induce al sorriso i settori più informati dell’opinione pubblica. Ma risponde a un bisogno profondo: leggere in modo semplice un mondo complesso, immaginare che i nessi causali siano sempre chiari e lineari. Se qualcuno, purtroppo, è morto dopo aver preso il vaccino, dev’essere stato il vaccino.
Il problema dei settori più informati dell’opinione pubblica è che troppo spesso, innanzi a queste teorie della cospirazione, fanno spallucce. Pensano semplicemente che a visioni irrazionali si risponda con proposte concrete, per andare incontro alle istanze della popolazione. Pensano, insomma, che siano tutte storie.
Ma dall’alba dei tempi gli esseri umani campano di pane e storie. In politica come nella vita di tutti i giorni, le percezioni contano quanto i fatti, se non di più. Alle narrazioni distorte si può rispondere solo con un racconto diverso: è su quel terreno, non su altri, che si gioca una competizione che è sì tutta simbolica ma che decide del perimetro del consenso. Da essa dipendono l’esercizio del potere e lo spazio della libertà.
Oggi manca proprio questo racconto. E’ vero sia per le imprese sia per le associazioni che si incaricano della loro rappresentanza sia per quei pezzi dell’opinione pubblica che sono a esse più vicine. Ogni crisi per definizione costringe a reagire ma l’impressione è che la pandemia abbia ristretto il nostro orizzonte alla, pure urgente, necessità di tamponare le falle.
Il paradosso del racconto che non c’è è tale che oggi sono nell’occhio del ciclone precisamente quelle imprese e quei settori che ci hanno consentito di ridurre i disagi delle chiusure e dei lockdown: le aziende di delivery hanno consentito a un pezzo del mondo della ristorazione di restare in vita, ma devono affrontare decisioni della magistratura del lavoro che ne mettono in discussione il modello di business. L’e-commerce è stato di straordinario ausilio proprio a quelle categorie di persone più diffidenti nei suoi confronti, anche per ragioni anagrafiche, e che più di altri dovevano limitare i contatti interpersonali. Se ne parla solo come di un limone da spremere, nell’ambito di strani programmi per guadagnare una non meglio definita «sovranità digitale». La grande distribuzione ha fatto miracoli ma non è riuscita a farli apprezzare e, in un Paese che ragiona e decide per «categorie», quelle davvero essenziali in un contesto come l’attuale, corrieri e lavoratori della GDO, non hanno avuto il riconoscimento simbolico di una categoria preferenziale nel piano vaccinale.
Big Pharma ci ha dato cinque vaccini contro il Covid-19 in meno di un anno, mettendo a punto la tecnologica dell’RNA messaggero che potrebbe avere, negli anni a venire, impieghi rivoluzionari: dalla cura dei tumori alle allergie. Questi progressi sono considerati come fossero routine, mentre tutta la discussione si fissa su presunte furberie «alcune società si sono vendute le dosi due-tre volte»). Se anche gli imprenditori del farmaco avessero la stessa sensibilità etica dei capitani delle navi pirata, è surreale pensare che le innovazioni che hanno messo in campo non sia loro responsabilità, e di per sé qualcosa di straordinario. Di nuovo, il bias della negatività.
Non è un problema di soli argomenti razionali. E’ un problema di offrire storie alternative, che siano capaci di vantare i meriti individuali, di sottolineare la difficoltà degli sforzi di chi fa ricerca e impresa, che non lascino a complottisti e «irrazionalisti» le praterie dell’emotività. Non è solo «comunicazione»: è anche la necessità di aprire squarci su un mondò che resta nell’ombra, un po’ perché i nostri pregiudizi ci rendono difficile vederlo, un po’ perché non sente, sbagliando, il bisogno di farsi scoprire.
Da L’Economia–Corriere della sera, 6 aprile 2021