20 Gennaio 2025
Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Quando nel 1969 Vallecchi pubblicò La società libera di Friedrich von Hayek, uno dei testi capitali del liberalismo novecentesco, pare se ne siano vendute 12 copie prima di spedire le altre ai remainder. La cultura liberale più che pensiero unico in Italia è stato pensiero unitario, nel senso che gli aderenti si contano in poche unità. Lorenzo Infantino, mancato ieri a Roma a 77 anni, ne aveva dedicati 40 a riequilibrare la partita. Dal 2001 era ordinario di Metodologia delle scienze sociali alla Luiss. Assieme a Dario Antiseri, ne animava il Centro di metodologia delle scienze sociali. In precedenza, aveva lavorato con Luciano Pellicani, col quale condivideva l’ammirazione per José Ortega y Gasset.
Ma gli autori prediletti di Infantino erano gli economisti austriaci, Hayek e il suo maestro Ludwig von Mises. Di Mises, Infantino ritradusse le due opere maggiori, Socialismo (1922) e L’Azione umana (1949), per Rubbettino. L’editore calabrese era stato conquistato alla cultura liberale, da studente, proprio da Infantino e Antiseri.
L’ambizione di Infantino era corroborare uno dei programmi di ricerca inaugurali da Hayek. Il suo libro più importante, L’ordine senza piano (1995, tradotto anche in inglese), annodava i fili di quel la genealogia del liberalismo che il Premio Nobel aveva abbozzato: immaginando una continuità fra Bernard de Mandeville, gli scozzesi David Hume e Adam Smith, e la scuola austriaca. Il minimo comun denominatore risiedeva nell’individualismo metodologico. Uno dei peggiori errori in cui possiamo incorrere è «reificare i concetti collettivi», immaginando che ad agire siano lo Stato o il partito, e non le persone che ne fanno parte. Anche il potere va compreso come esito di relazioni e scambi fra individui.
Chi ha conosciuto Infantino ne ricorderà i modi garbati. Ma pure le passioni accese. Pochi davvero hanno vissuto per le proprie idee quanto lui.