Innovazione, il silenzio dei sindaci

Una delle grandi ipocrisie italiane è che discutiamo a oltranza di banda larga, ma poi UberPop è fuori legge e AirBnB è accerchiata da norme e regolamenti

22 Giugno 2016

La Stampa

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Una delle grandi ipocrisie italiane è che discutiamo a oltranza di banda larga, ma poi UberPop è fuori legge e AirBnB è accerchiata da norme e regolamenti. La mistica della grande infrastruttura appassiona i politici, che dietro di essa intuiscono legioni di tecnici, aziende e aziendine che posano fibra: cioè, sostegno e voti. E tuttavia la capacità di crescere attraverso l’economia digitale non dipende dalla banda disponibile. Dipende semmai dalla disponibilità di servizi che le persone possano considerare utili.

Nei migliori dei casi, in questa campagna elettorale si è ragionato di nuove tecnologie come strumento per fare efficienza all’interno della macchina comunale: molto se ne è parlato a Milano, dove i due candidati erano entrambi ex manager delle telecomunicazioni. E’ un tema importante. L’economia digitale, però, non serve più soltanto a risparmiare carta e tempo. Oggi è soprattutto una rivoluzione nel modo in cui si incontrano offerta e domanda.

Con Uber non è più necessario segnalare la disponibilità ad offrire passaggi a pagamento pitturando di bianco un’autovettura e chiamandola «taxi». Con AirBnB l’offerta di locazioni brevi si disperde nelle città e non ha più bisogno di essere necessariamente organizzata in luoghi ad hoc. Queste due imprese non sono che la punta dell’iceberg. Abbassando drasticamente il costo d’informarsi sulla disponibilità di un certo bene o servizio, le tecnologie innescano cambiamenti profondi e moltiplicano gli scambi e le transazioni possibili.

Nella sua relazione annuale, il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella ha suggerito che gli eventuali problemi che sorgono con la sharing economy «non possono essere risolti estendendo alle nuove attività le regole esistenti per i servizi più tradizionali (come quelle che riguardano il servizio taxi e gli alberghi)». Il rischio è di uccidere nella culla i nuovi modelli di business.
Questi ultimi valorizzano soggetti che non sono «imprese» in senso stretto, ma persone che decidono di offrire un certo servizio a latere delle loro attività più tipiche. Ciò è assieme la speranza di una prosperità diffusa e un problema per politica e regolazione, che cercano controparti organizzate e che non le possono trovare.

Il Tar del Lazio ha recentemente accolto il ricorso presentato proprio dall’Antitrust contro un regolamento regionale che imponeva a case vacanze e bed and breakfast periodi di chiusura obbligatoria e durata minima di contratti d’affitto. E’ normale che le regole siano fatte per tutelare gli operatori che ci sono già, ma il loro costo è ridurre le opportunità a disposizione di tutti gli altri.

Ad oggi le città italiane come minimo chiudono gli occhi. I sindaci uscenti hanno raramente preso iniziative incisive e si sono tenuti ben lontani dalla questione: anche per ragioni elettorali. L’autista di Uber è difficile da mobilitare, i tassisti sono un gruppo coeso che, legittimamente, difende quelli che percepisce essere i propri interessi. In un Paese di proprietari di immobili come il nostro, non sono pochi i pensionati che potrebbero integrare i propri redditi affittando una camera come bed and breakfast: ma magari non sono neppure consapevoli di questa opportunità, mentre al contrario i professionisti dell’hotellerie hanno una loro rappresentanza e sanno rapportarsi con la politica.

I Cinquestelle non sembra abbiano un approccio più riformista di coloro di cui hanno preso il posto. Virginia Raggi ha detto che Uber e AirBnB fanno «concorrenza sleale». Più in generale, nel lessico dei pentastellati l’innovazione tecnologica ha sempre sfumature ambigue. Viene esaltata come strumento di trasparenza (Internet è la colonna portante della democrazia diretta versione Casaleggio) ma anche vista con sospetto, in quanto esito di quello sviluppo economico che si vorrebbe contenere e limitare, alla ricerca della «decrescita felice». Per una sorta di illusione ottica, è più facile vedere che Uber o AirBnB sono imprese grandi e, per giunta, americane, che accorgersi di quanto il loro successo si fondi proprio sull’allentamento della presa di corporazioni e monopoli e sull’attivazione di uno spirito imprenditoriale più diffuso.

Eppure, proprio chi è meno integrato nel tradizionale circuito politica-rappresentanza organizzata degli interessi potrebbe svecchiare un sistema di regole che rischia di lasciare le nostre città al palo.

Da La Stampa, 22 giugno 2016

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