«Nei panni dei Cinquestelle oggi sarei piuttosto preoccupato di questo successo pieno nel Mezzogiorno. Lì da 25 anni gli elettori scelgono sempre l’opposizione perché dal governo non arriva mai una vera politica in grado di generare sviluppo. Salvo poi, alle elezioni successive, scegliere una nuova opposizione. Sarebbe necessario invertire la rotta rispetto alle fallimentari politiche degli ultimi decenni, ma non è facile». L’economista Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, fino al 2011 è stato parlamentare spesso “non allineato” del Pd. In questa campagna elettorale ha visto il rilancio della flat tax, che lui propose nel 1996 a una sinistra che (allora come oggi) non ne voleva neppure sentir parlare. Ma con il suo Istituto ha anche colto l’occasione del confronto tra i partiti per ricordare, con tre tabelloni piazzati nelle stazioni Termini e Tiburtina, a Roma, e alla Centrale di Milano, la dimensione del nostro debito pubblico, cresciuto dal 12 febbraio al 4 marzo di 7,722 miliardi.
Professore dietro il successo del M5S si profila una coalizione di centrodestra vincente. È arrivato il momento della tassa piatta per l’Italia?
Per ora abbiamo visto la prima puntata con i risultati delle elezioni, vediamo nei prossimi giorni l’evoluzione del quadro politico. Mi pare però che, per quanto riguarda il M5S, non si vada oltre la riduzione da 5 a 3 aliquote Irpef. Un piano coerente con i voti che hanno preso, per una buona parte travasati dal Pd.
Voti di sinistra che vogliono un fisco progressivo.
Trent’anni di globalizzazione dell’economia hanno eroso basi imponibili e ridotto aliquote e scaglioni. È un non senso pensare che la redistribuzione si faccia solo con il fisco. Si dovrebbe invece utilizzare la leva della spesa.
Possibile una convergenza sulla flat tax?
Difficile fare un accordo su un solo tema quando sugli altri le distanze sono forti. Nonostante il “rumore” della campagna elettorale, le grandi forze hanno in realtà proposto opzioni chiare e difficilmente conciliabili: il M5S ha evocato più spese e più tasse o più debito, il centro-destra ha detto meno fisco e più sicurezza (facendo l’en plein al Nord), il Pd i piccoli passi lungo il “sentiero stretto” di cui parla Padoan. Difficile conciliare opzioni così diverse.
Chiunque vada al governo ha già un problema fiscale: decidere che fare di una clausola di salvaguardia Iva da 12,4 miliardi.
Appena si insedierà, il nuovo governo dovrà verificare lo stato dei saldi e se ci sono o meno scostamenti sugli obiettivi programmati per l’anno. Una verifica che renderà più o meno evidente la necessità di un manovra correttiva. Mettere in campo fin da subito una strategia di politica economica e anticipare alcune scelte di politica economica che verrebbero poi completate con la legge di Bilancio 2019 potrebbe non essere sbagliato.
Un po’ di prelievo indiretto in più per coprire l’avvio della flat tax?
In parte, naturalmente: l’obbiettivo di fondo – alleggerendo le imposte dirette (Irpef, Ines) – non può che essere una riduzione della pressione fiscale. Una flat fax credibile, al di là del valore delle aliquote o della no “tax area”, non può non essere accompagnata da una riduzione della spesa pubblica. Ma una svalutazione fiscale (più Iva, meno Irpef) potrebbe essere un’ipotesi da studiare e potrebbe avere non poco senso con l’euro a 1,23 sul dollaro. E, per inciso, potrebbe contribuire alla crescita del Pil nominale e quindi alla riduzione del rapporto debito/Pil.
Come verrebbe vista in Europa?
L’Europa ci propone da tempo di ridurre il prelievo sul lavoro bilanciandolo con un aumento del prelievo sui consumi.
Intanto, professore, il debito pubblico corre sui vostri contatori on line. Quello è il vero problema da affrontare, anche con un credibile programma di privatizzazioni. Ricordando che la riduzione del debito è la strada maestra per difendere la sovranità del paese.
Da Il Sole 24 Ore, 6 Marzo 2018