Per Ita/Alitalia parte l’ennesima fase decisiva: è in Gazzetta Ufficiale il decreto che fissa le modalità della privatizzazione, approvato dal governo poco prima di Natale. Sulla carta il ventaglio dei candidati ad acquisire una forte quota azionaria è più ampio rispetto ai precedenti tentativi di vendita, perché secondo il testo è ammesso alla gara qualunque soggetto «in grado di acquisire una partecipazione iniziale nella società di entità tale da confermare la serietà dell’impegno, oltre che di acquisirne successivamente il controllo o la maggioranza del capitale». Ma al di là delle formule c’è in campo solo la tedesca Lufthansa.
Secondo Andrea Giuricin, economista dei Trasporti dell’Università Milano Bicocca e dell’Istituto Bruno Leoni, «quella si Lufthansa è l’unica opzione rimasta. Non risulta che altre grandi compagnie europee siano interessate, tutto è possibile ma a questo punto sarebbe complicato inserirsi. Investitori duri e puri come era Certares non sono graditi a questo governo», e nemmeno lo sarebbero candidati arabi o cinesi, che (peraltro) non si profilano. Aggiunge Giuricin: «Giancarlo Giorgetti è pro-Lufthansa già da prima di diventare ministro dell’Economia, e l’ipotesi con Lufthansa è la sola che si accompagni alla possibilità, non la certezza ma la possibilità, che Ita faccia profitti. Perché i tedeschi hanno un gruppo con diversi hub (aeroporti di connessione dei voli, ndr), uno per ognuna delle compagnie straniere controllate, e Lufthansa è interessata a sviluppare Fiumicino come hub dei voli verso il Sud America e l’Africa, dove il gruppo finora è debole».
Insomma, almeno in teoria sembra che i soci tedeschi arrivino in Ita per sviluppare la compagnia, e non per spolparla – come sembra che abbiano fatto altri nel passato recente. Restano due nodi da sciogliere: quanto pagherà Lufthansa per il 40% delle azioni a cui mira, almeno in una prima fase (poi è previsto di più) e come sarà governata la nuova Ita.
Il prezzo è un dettaglio importante ma non decisivo: dopo anni di bilanci in rosso, passivi cumulati per molti miliardi e un ulteriore, pesante passivo nei 2022 la compagnia vale poco. Sarà invece da discutere la questione della cosiddetta “governance”: i tedeschi non sono disposti a farsi dettare legge da un socio pubblico al 60% da cui è lecito temere comportamenti analoghi a quelli che hanno affossato la vecchia e (a suo tempo) gloriosa e florida Alitalia. Il decreto prevede il ruolo “preminente” del socio in arrivo, ma anche garanzie per lo Stato, e dettaglio al Ministero del Tesoro si dovranno riconoscere «adeguati poteri di controllo sulla gestione», «il diritto di gradimento su nuovi azionisti» e «clausole di opzione relative alla cessione della partecipazione residua detenuta».
Insomma l’ideale sarebbe di affidare a Lufthansa, che sa come fare, la gestione e la strategia di sviluppo, mentre il socio pubblico dovrebbe limitarsi a vigilare. Sarà possibile concordare una soluzione che lo consenta? Se non si trova, Lufthansa si sfilerà, e a Ita resterà l’arduo compito di sopravvivere da sola, con la sua dimensione insufficiente a competere.
L’Unione sindacale di base (Usb) si schiera contro la privatizzazione parlando di «suicidio in atto del mercato nazionale» e di «operazione autolesionistica in un Paese a forte trazione commerciale e turistica come l’Italia»; il 10 gennaio l’Usb manifesterà davanti al Ministero del Lavoro insieme ai cassaintegrati a zero ore di Alitalia e Cityliner per chiedere al governo «risposte concrete a quelle problematiche su reddito e lavoro che al momento sono rimaste sospese».
Ita Airways è decollata il 15 ottobre del 2021 con una flotta di 52 aerei (mentre oggi ne conta 69) e 2.800 dipendenti (saliti a 3.600) anche grazie a un finanziamento statale di 1,35 miliardi, autorizzato dall’Ue e suddiviso in tre parti: 700 milioni per il 2021, 400 per il 2022 e 250 per il 2023. Quest’anno entreranno in servizio 39 aerei e il programma di sviluppo porterà Ita essere nel 2026 «la compagnia più green d’Europa», con 1’80% della flotta composto da velivoli di nuova generazione.
da La Stampa, 4 gennaio 2023