5 Febbraio 2018
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Il prossimo 4 marzo, in Italia, sarà un importante giorno di votazioni. Si rinnoverà il Parlamento e molti già prefigurano l’assenza di una maggioranza di governo, dal momento che nessuno dei tre poli principali (centro-destra, centro-sinistra e M5S) appare in grado di strappare un numero sufficiente di eletti che permettano di esprimere il capo del governo. Si voterà anche per Lombardia e Lazio, dove il sistema elettorale è però tale da garantire con quasi certezza una notevole stabilità istituzionale.
In quel fine settimana non si voterà solo in Italia. Anche in Svizzera vi sarà una consultazione di straordinario interesse e il confronto tra i due appuntamenti elettorali è in grado di dire molto sulla distanza che separa un Paese come l’Italia, a democrazia rappresentativa (e prigioniero, per giunta, delle logiche proprie di un interventismo di tipo clientelare), e un Paese come la Svizzera, in cui gioca un ruolo fondamentale la democrazia diretta, che lascia che a decidere siano i cittadini medesimi.
Il corpo elettorale elvetico dovrà esprimersi su due questioni. Innanzi tutto, sarà messa ai voti la proposta di annullare il canone radiotelevisivo per la Ssr (Società Svizzera di Radiotelevisione). Qualcosa di simile avvenne in Italia, quando nel 1995 un voto popolare avrebbe dovuto far procedere alla privatizzazione delle televisioni di Stato, ma è chiaro che mentre da noi la volontà degli elettori fu sostanzialmente ignorata, in Svizzera si apprestano (in caso di vittoria dell’iniziativa popolare) a ripensare radicalmente il sistema informativo pubblico.
I cittadini e le tasse
L’altra consultazione svizzera, specialmente se vista dall’Italia, ha in sé qualcosa di assolutamente sorprendente. Si domanderà al popolo, in effetti, se s’intende prorogare per altri 15 anni (dal 2020 al 2035) la facoltà concessa a Berna di prelevare un’imposta federale diretta e l’Iva. Questo voto è connesso al fatto che la società elvetica è basata sui cantoni e sui comuni, e il potere centrale solo in tempi relativamente recenti ha ottenuto la possibilità di disporre di entrate proprie. Periodicamente, però, questa “eccezione” deve essere confermata dai cittadini.
Il peso del voto
Un dato salta subito agli occhi ed è che in Svizzera la delega consegnata agli eletti ha un carattere ben più contenuto di quanto non sia da noi. In Italia l’istituto del referendum esiste, ma ha soltanto valore abrogativo e non può essere utilizzato di fronte a leggi di finanza pubblica e diritto internazionale. In Svizzera, invece, votano su tutto e recentemente hanno ricordato proprio i 25 anni di una consultazione decisiva: quella con cui la Confederazione decise di non accedere allo Spazio economico europeo e, nei fatti, chiuse la strada a ogni integrazione in Europa.
Non solo in Svizzera si può essere chiamati a esprimere il proprio giudizio sulle materie più disparate, ma è anche possibile avviare (dal basso) iniziative popolari che introducano nuove regole. In Ticino è recente un voto che, con l’obiettivo di informare meglio i giovani sulla peculiarità dell’ordinamento elvetico, ha sganciato la lezione di Educazione civica da quella di Storia. Non solo: lo scorso anno nel cantone italofono si sono raccolte 12 mila firme (e ne bastavano 10 mila) a sostegno dell’iniziativa «Basta tasse e basta spese, che i cittadini possano votare su certe spese cantonali», che vuole modificare la costituzione per obbligare il governo di Bellinzona a sottoporre al popolo ogni spesa di ragguardevoli dimensioni.
Mentre nella Repubblica italiana abbiamo una classe politica costantemente in conflitto, ma che nei fatti non si divide mai sulle questioni cruciali e anzi appare impegnata a promettere tutto a tutti, in Svizzera il ceto politico deve di continuo fare i conti con un’opinione pubblica che può dire la sua: confermando gli orientamenti espressi dagli amministratori oppure bocciandoli.
Possibili esiti
A Roma molti prevedono che dal voto del 4 marzo non uscirà nulla. A quel punto si potranno avere intese oggi considerate fantapolitiche (Berlusconi insieme a Renzi? Salvini insieme a Di Maio?) e di sicuro è forte il rischio che si debba tornare a votare entro l’estate. Al contrario in Svizzera la vita continuerà a fluire senza grandi scosse: eppure il voto deciderà su questioni importanti. È possibile che il canone non sia bocciato. Se poi comunque fosse abolito, tutto questo comporterà solo una ristrutturazione della Ssr, la quale dovrà aumentare la raccolta pubblicitaria e diminuire il numero dei dipendenti. Non sarà un cataclisma, ma solo un riassetto volto a non gravare troppo sui cittadini.
L’altra consultazione popolare, per giunta, secondo le previsioni dovrebbe lasciare le cose come sono ora. Sembra che i tempi non siano ancora maturi per un’inversione di tendenza, che quasi annulli il ruolo della Confederazione a tutto beneficio della periferia, riducendo il potere federale e facendone dipendere il finanziamento dalle risorse che i cantoni (se e quando lo vogliono) sono pronti a destinare per spese considerate meritevoli di essere sostenute.
Eppure questa consultazione è davvero importante, dato che è lì a ricordare agli svizzeri che non sono in un’Italia o in una Francia qualunque (dove la capitale domina tutto), ma che vivono entro istituzioni forgiate lungo secoli di patti liberamente sottoscritti.
Da La Provincia, 4 febbraio 2018