Se c’è una cosa che fa più male al nostro mercato del lavoro della rigidità e onerosità dei contratti, è – come al solito – l’incertezza del contesto legale. E’ bastato minacciare un referendum perché il governo mettesse in discussione la sua riforma dei voucher che tanto aveva difeso solo pochi mesi prima.
Il disegno di legge in discussione ne consente l’uso solo in ambito familiare o da imprese prive di dipendenti e studi professionali, e torna ad abbassare il limite economico di utilizzo, con una severità ancor più marcata rispetto alla legislazione precedente il Jobs Act.
La convenienza dei voucher non è stata quella di aumentare, di per sé, i posti di lavoro. E’ stata invece quella di agevolare prestazioni regolari di lavoro in un mercato incerto: facilissimi da usare, immuni da ogni burocrazia, semplici da capire sia per il datore che per il lavoratore, poco costosi dal punto di vista fiscale, si sono dimostrati uno strumento agile e immediato, anche nella riscossione, per far fronte a molte ipotesi di prestazioni occasionali e accessorie.
Se ne è abusato da quando ne è stato consentito un uso più esteso col Jobs Act? Forse, anzi probabilmente. Come si può abusare di ogni strumento che il diritto ci mette in mano. Ma altrettanto probabilmente se ne è abusato molto meno di quanto si pensi. Dal 2011 al 2015, prima quindi della riforma, i voucher venduti sono passati da 15 milioni a 115 milioni, per un peso economico rispetto al lavoro dipendente privato che è andato dall’1,5% all’8,8%. Nel 2016, appena dopo il Jobs Act, sono stati venduti 300 mila voucher in più rispetto all’anno precedente. La loro fortuna, quindi, non è storia di oggi, ma è andata crescendo negli anni perché ha consentito di far fronte in maniera legale e poco costosa a mutevoli e disparate esigenze.
Specie in un momento di incertezza economica e con la scomparsa dei lavori a progetto, l’imprevedibilità dell’economia tollera a fatica la rigidità dei rapporti di lavoro, con il rischio quindi che l’alternativa al lavoro dipendente non sia il lavoro accessorio, ma quello in nero, e dunque non tra più o meno tutele per i lavoratori, ma tra il più e il niente.
14 marzo 2017