26 Marzo 2018
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Per chi è appassionato di federalismo, Domaso è soprattutto il luogo in cui il professor Gianfranco Miglio amava passare il proprio tempo: tra i libri e le vigne. Nel corso degli anni questa località ha così assunto un significato simbolico agli occhi di quanti lavorano per restituire alle singole comunità la facoltà di governarsi da sé, sfuggendo al controllo di poteri lontani ed estranei.
Il caso Italia
Sabato 17 marzo nel palazzo comunale si è tenuto un convegno, organizzato dall’associazione Gilberto Oneto, proprio per ricordare lo scienziato politico comasco a cent’anni dalla nascita. E nel pomeriggio hanno preso la parola molti relatori: dal sindaco Pier Leggeri ad Alessandro Vitale, da Stefano Bruno Galli a Leo Miglio (figlio del professore), da Gianluca Marchi a Gianfrancesco Ruggeri.
Un dato è emerso con chiarezza: la lezione migliana è più viva che mai, dato che ora ancor più che nel passato sta facendosi strada la persuasione che non esista una soluzione italiana al “caso Italia”. In effetti, una delle questioni che colui che fu il preside della facoltà di Scienze Politiche della Cattolica ebbe l’ardire di porre sul tavolo è proprio quella del parassitismo. Miglio era persuaso che non si può fare alcuna analisi dei sistemi politici se non si affronta il tema del dominio e dello sfruttamento: ossia, se non si coglie che nella politica gioca un ruolo cruciale il rapporto tra chi sfrutta e chi è sfruttato, tra chi ottiene più di quanto non dia e chi dà più di quanto non riceva. E in Italia questa opposizione è in larga misura il contrasto tra un Nord vittima del residuo fiscale (solo la Lombardia perde circa 56 miliardi di euro ogni anno) e un Sud destinatario di aiuti clientelari.
Oltre a ciò, Miglio aveva compreso come il collante retorico dello Stato moderno fosse ormai del tutto logorato: per l’esplosione dei bisogni, per il progressivo indebitamento delle strutture politiche, per l’imporsi di logiche transnazionali. In questa situazione, solo la logica del patto volontario e quindi di un vero federalismo possono restituire senso alle istituzioni. Avviarsi verso una società federale porrebbe le premesse a un assetto di tipo nuovo e, al tempo stesso, permetterebbe di contrastare la tendenza di ogni uomo a vivere alle spalle dell’altro.
La sua lezione nasceva da studi approfonditi nel campo della storia delle istituzioni e puntava a guardare la realtà con l’obiettivo di coglierne i mutamenti profondi, che sono talvolta celati dalle piccole vicende della cronaca. In questo senso, egli è stato un visionario: uno scienziato che si sforzava di leggere nel presente i semi del futuro. E ai suoi occhi era divenuto sempre più chiaro che lo Stato nazionale non poteva in alcuna maniera aiutare la convivenza civile.
Il convegno ha focalizzato l’attenzione sui grandi contributi del professore e molti relatori hanno sottolineato la costante attenzione al tema della Nord: dall’aprile del 1945 (nei giorni del “Cisalpino” di Zerbi) fino alla Lega di Bossi, ma passando per quel 1975 in cui commissionò un’interessante ricerca sull’unità economica e sociale delle regioni settentrionali.
La svolta di Salvini
Sotto certi aspetti, il convegno avrebbe dovuto prendere atto – dopo la svolta nazionalista della Lega di Salvini – che la lezione di Miglio è divenuta inattuale, da consegnare alle biblioteche. E invece a più riprese è emerso come anche le vicende delle ultime settimane, a partire dal voto del 4 marzo, ci dicono quanto la faglia che separa l’Italia in almeno due parti sia nei fatti. Perché c’è un Nord che vorrebbe meno tasse e un Sud che chiede, al contrario, una più ampia redistribuzione delle risorse.
Miglio sapeva che la storia non è dominata dalle leggi della necessità, ma è pur vero che non possiamo mai ignorare taluni elementi strutturali. Dopo avere portato in Italia la lezione di Carl Schmitt, il professore aveva compreso come la sovranità fosse destinata a dissolversi, insieme agli altri miti della modernità politica (il socialismo, la solidarietà, la volontà generale, la costituzione ecc.). Fosse ancora tra noi, sorriderebbe quindi dinanzi ai tentativi di riportare in vita logiche ottocentesche e “sovraniste”.
Certo sulla scena attuale non vi sono attori determinati a rivendicare il diritto di ogni comunità ad autogovernarsi. In Lombardia e in Veneto è stato avviato un processo assai prudente di parziale ridefinizione dei compiti tra centro e periferia, ma non è chiaro quanto queste due regioni vorranno battere i pugni sul tavolo. Si sa soltanto che Roma non vuol sentire parlare di soldi e che non vorrà mollare nulla.
Eppure – se l’analisi che fu sviluppata da Miglio era fondata – questo vuol dire soltanto che stanno aprendosi spazi per nuovi attori politici. Forse la Lega dovrà constatare che con un 6% in Calabria non si va molto lontani e che soltanto l’alleanza in Lazio con Alemanno e Storace ha portato più voti, finendo però per dissolvere il senso stesso di una storia e di un’identità. Preso atto che è nel Nord e solo nel Nord che la Lega può giocare le sue carte, è possibile che quello che fu il partito di Bossi torni a difendere i diritti e gli interessi dei ceti produttivi settentrionali. Oppure si aprirà la strada per qualcun altro, meglio capace di cogliere una “domanda” già ora tanto forte nella società civile.
Difficilmente le due Italie, quella gialla e quella azzurra che tutti abbiamo visto emergere dal voto del 4 marzo, non produrranno effetti politici. La faglia Nord-Sud esiste e prima o poi tornerà al centro della scena.
da La Provincia, 26 Marzo 2018