18 Aprile 2017
Il Foglio
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Dai frutti conoscerete l’albero. Il primo frutto che cade dal ramo grillino è il programma sull’energia del Movimento 5 stelle (Pem5s), presentato il 3 aprile scorso in seguito al lavoro condotto da parlamentari ed esperti d’area. Il Pem5s, beninteso, è “scritto dai cittadini” attraverso una consultazione che ha coinvolto qualche migliaio di iscritti, con esiti tendenzialmente bulgari (tra i sondaggi condotti sul blog, quello meno condiviso lo un tasso di approvazione dell’87 per cento). Ma la ciccia vera nasce, evidentemente, da un’operazione più meticolosa e, in questo, apprezzabile.
Bisogna infatti dare atto al Movimento 5 Stelle di aver fatto uno sforzo serio nel presentare le proprie proposte in materia di energia. Inoltre, i grillini consentono al pubblico di valutare nel merito le loro idee esplicitando i ragionamenti sottostanti e cercando di connettere obiettivi e strumenti al punto di partenza. Proprio l’ampiezza e la chiarezza del documento consente di trarre alcune prime indicazioni su come sarebbe il M5S quale forza di governo. E questo, bisogna riconoscere, è un passo importante e lodevole.
Terminata la captatio benevolentiae, però, è doveroso passare alla pars destruens. Il programma si compone di due parti: una di analisi del contesto, l’altra di proposta. La prima, al netto di alcune ingenuità tutto sommato marginali, si limita a presentare la situazione sulla base degli scenari e dei rapporti ufficiali e internazionali. Tra le pieghe si possono trovare alcune ammissioni sorprendenti, che in parte smentiscono la retorica distruttiva che i grillini hanno adottato di fronte alle politiche sin qui seguite. Per esempio, il riconoscimento che “le fonti rinnovabili rappresentano un’eccezione nel quadro energetico italiano” in quanto sono l’unica voce “a riportare un considerevole aumento in tutti i comparti”, e ciò in forza del fatto che “c’è stata sicuramente una volontà politica”, al punto che “i dati 2014 sono confortanti”. Ma anche la “confessione”, seppure indiretta e un po’ nascosta, che le esistenti politiche di incentivazione hanno anche alimentato comportamenti speculativi da parte di molti operatori.
È però nella seconda parte che si concentrano le proposte vere e proprie: ed è qui che si notano non solo contraddizioni e amenità, ma anche e per certi versi soprattutto tre grandi assenze, il mercato, la domanda e l’Europa. Il Pem5s, ruota attorno a due concetti: la sostenibilità (declinata come riduzione dei consumi ed eliminazione delle fonti fossili) e l’indipendenza energetica. L’approccio del M5s è quello del pianificatore sovietico: non c’è spazio per il mercato e ai prezzi non viene riconosciuta alcuna funzione allocativa. Tant’è che tutte, ma proprio tutte, le variabili in gioco vengono piegate alla volontà politica e costrette a seguire una traiettoria definita sin nei minimi dettagli: i consumi dovranno calare (da 112 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2014 a 71 nel 2050), le importazioni dovranno azzerarsi (tranne in parte, come vedremo, per l’energia elettrica), la singole tecnologie dovranno, seguire un percorso preordinato. In particolare, il carbone dovrà uscire dal mix nazionale entro il 2020, il petrolio, per i trasporti nel 2040 e per l’agricoltura nel 2050; il gas entro il 2050. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, invece, si prevede una decisa crescita, in particolare in campo elettrico (che è cruciale perché, nella visione grillina, i consumi dovranno virare verso l’elettrificazione spinta) e con l’obiettivo di massimizzare l’autoproduzione e l’autoconsumo. Il solare, che al M5s piace da pazzi, dovrà arrivare a coprire il 73 per cento dei consumi (un traguardo che, pur con generose assunzioni sullo sviluppo degli accumuli, prima si scontrerà con concetti quali “la notte” e “l’inverno”). L’eolico, che invece non li entusiasma, crescerà a un ritmo del 3,4 per cento annuo, l’idroelettrico dell’1 per cento, le bioenergie dello 0,8 per cento. Tutto ciò presuppone investimenti enormi non solo nell’installazione di nuovi impianti, ma anche nell’adeguamento delle reti, nella realizzazione di un’infrastruttura per la mobilità elettrica e nella sostituzione degli attuali veicoli circolanti con auto elettriche: come tutto questo possa conciliarsi con la pretesa di non far crescere la spesa energetica, resta un mistero.
Il mistero si infittisce ancor più in relazione al secondo grande assente, ossia l’Europa (e il mondo) Per un verso, i grillini alzano la bandiera dell’autarchia: “L’indipendenza energetica consentirà di creare un sistema di prezzi energetici stabile e non soggetto à variabili esogene, quali offerta e domanda mondiali dei beni energetici, scarsità, fattori geopolitici”. Come si vede, il mercato viene semplicemente eliso, e i prezzi assumono una pura valenza distributiva, in quanto non hanno alcuna parte nell’orientare gli investimenti e le scelte di produzione e consumo. L’Europa e il mondo esterno compaiono solo di sfuggita e in funzione residuale: “Al settore elettrico sarà riservate le possibilità di interscambio all’interno del Mercato Unico Europeo, principalmente al fine di ovviare, al problema della stagionalità delle fonti rinnovabili elettriche”. Ora, anche ignorando che tutto ciò presuppone di fatto l’uscita dall’Ue (perché altrimenti le direttive sulla libera circolazione di beni e servizi avrebbero qualcosa da dire in proposito), resta il fatto che l’intera Europa giace nel medesimo emisfero e, quindi, l’alternanza delle stagioni (cosi come quelle tra notte e giorno) segue lo stesso ritmo. Ai grillini deve anche sfuggire che, se autarchia dev’essere, bisogna muoversi in un orizzonte di autarchia per tutti, e anche questo qualche conseguenza potrebbe pure avercela.
Il terzo grande assente dal piano a cinque stelle è la domanda. Ai consumatori non viene attribuita alcuna iniziativa (il che, peraltro, è quanto meno coerente con l’idea che tutto debba e possa essere deciso top-down per fiat governativo). La domanda deve umilmente seguire il sentiero, della decrescita tracciato dai demiurgi grillini, e semmai investire nell’efficienza energetica e nell’autoproduzione (naturalmente a condizioni convenienti…): che i consumatori, con le proprie scelte, possano avere voce in capitolo è un elemento del tutto ignorato dal Pem5s. Eppure, la moderna teoria della regolazione e l’economia comportamentale suggeriscono che proprio da una domanda attiva possono arrivare stimoli enormi all’efficientamento dei consumi e all’indirizzo degli investimenti vesso criteri di sostenibilità (suggerimento musicale: quando Jackson Browne canta “people, you’ve got the power over what we do,” sta dando un’inconsapevole lezione di economia, di cui il M5s potrebbe giovarsi).
Il che conduce alle enormi contraddizioni del Pem5s. Contraddizioni interne: tenere assieme politiche che pretendono di governare, al tempo stesso, investimenti, consumi, costi, prezzi, e addirittura rapporti internazionali è impresa titanica che sfuma rapidamente in quella che Friedrich Hayek chiamava la “presunzione fatale”. Ma anche contraddizioni esterne: come si può, al tempo stesso, invocare l’elettrificazione dei consumi e poi avversare la riforma della tariffa elettrica messa in atto dall’Autorità dell’energia, che superando la progressività tariffaria va proprio in quella direzione? Come si può pretendere che i consumatori cambino stile di vita e di consumo, e poi fare la guerra alla liberalizzazione contenuta nel Ddl Concorrenza, che proprio proprio sulla consapevolezza e l’iniziativa dei singoli?
La realtà è che, a dispetto dell’impegno profuso nell’elaborazione del programma, è proprio la premessa fondamentale – ossia che tutto è nello Stato e nulla al di fuori di esso – a non stare in piedi. Ragioni per cui è difficile far seguire alla pars destruens una pars construens: il Pem5s è uno sforzo generoso politicamente interessante di una forza politica che vuole mettere un’ipoteca sul governo, ma è anche una dichiarazione di guerra contro le leggi fondamentali dell’azione umana. Del resto è significativo che dal documento non emergano modelli di riferimento, se non in maniera episodica, aneddotica e comunque limitata ad aspetti particolari e slegata dai contesti più ampi. C’è un solo precedente a cui forse i grillini si ispirano di società con bassi consumi pro capite, dipendente al 100 per cento dalle fonti rinnovabili e dagli elementi naturali, largamente autosufficiente e fondata sull’autoconsumo. È il paleolitico.
Da Il Foglio, 18 Aprile 2017