30 Gennaio 2022
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Uno dei tratti specifici dell’Europa è nel suo essere un’area vasta e in larga misura omogenea sul piano culturale (in ragione dell’eredità classica e cristiana), la quale è però sempre stata politicamente divisa. In età medievale gli sforzi imperiali verso l’unificazione fallirono grazie alla resistenza della Chiesa e delle realtà locali: città, principati, leghe. A giudizio di Jean Baechler (si veda Le origini del capitalismo, uscito negli anni Settanta per Feltrinelli e ripubblicato nel 2015 da IBL Libri), l’origine stessa delle libertà moderne si deve in larga misura a quella concorrenza tra sistemi che da secoli obbliga francesi, inglesi, olandesi e tedeschi a esprimersi al meglio.
In questo senso, non deve sorprendere il fatto che il progetto di unificazione continentale susciti tante resistenze: da destra e da sinistra. In fondo, si tratta di un piano che è intimamente anti-europeo nel momento in cui immagina che la statualità possa essere trasferita a livello continentale. L’Europa non ha però alle proprie spalle dinastie di zar che hanno dominato da lontano informi masse di soggetti senza alcuna capacità di iniziativa economica, sociale e politica.
Da questo punto di vista, l’Italia è stata grande quando ha interpretato lo spirito europeo nella sua forma più radicale. Tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, la penisola è stata l’area più civile, ricca e avanzata del Vecchio continente proprio in virtù di quel localismo regionale e municipale che ha creato, da un lato, un mercato tra istituzioni e, dall’altro, ha permesso il definirsi di autentiche comunità. Da Venezia a Genova, da Milano a Palermo, da Firenze a Siena, l’indipendenza delle comunità politiche e la loro costante capacità d’interagire hanno fatto sì che ognuno potesse dare il meglio. Dante, Leonardo da Vinci, Claudio Monteverdi, Galileo Galilei e Giambattista Vico non nascono dal nulla, esattamente come molto più a nord la civiltà incarnata da Spinoza e Rembrandt fu figlia di quelle Province Unite basate su autogoverno locale e relazioni pattizie.
L’identità delle città e delle regioni europee, in questo senso, è perfino più forte e autentica delle identità nazionali, che pure esistono, ma che in molti casi sono state costruite artificiosamente dal potere e dal suo sforzo di omogeneizzare, nel caso francese la Provenza e la Bretagna, l’Alsazia e il Rossiglione. Per questo sia l’Italia sia la Germania, unificate tardi e male (e il successo dei fascismi è in parte legato proprio al nazionalismo dei due Risorgimenti), dovrebbero riscoprire il valore delle loro multicolori Heimat: di quelle realtà cittadine e regionali che avrebbero il diritto di tassarsi e amministrarsi da sole, ponendo fine alla loro condizione periferica.
Per immaginare un’Europa veramente libera e recuperare lo spirito migliore del Vecchio continente è allora necessario ripartire dalle piazze, dalle diverse località, dalle lingue vernacolari e dalle distinte sensibilità, rispettando ogni comunità e riconoscendo quel diritto all’autogoverno che, da molto tempo, è invece venuto meno.
da Il Giornale, 30 gennaio 2022