18 Settembre 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Dopo che nei giorni scorsi il debito pubblico ha raggiunto un nuovo record (2.299,968 miliardi di euro a luglio, secondo le rilevazioni della Banca d’Italia), lascia davvero più che perplessi l’intenzione del governo di realizzare una mega-programmazione al fine di assumere, in soli quattro anni, quasi 500 mila nuovi dipendenti pubblici.
Quanto è stato affermato dal sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, dovrebbe allora spingere gli italiani a protestare con forza. Un Paese che sta giorno dopo giorno declinando per colpa di uno statalismo che assorbe una quantità crescente di risorse non può, sulla base di calcoli elettorali o di altro tipo, accettare senza reagire che, per giunta in tempi tanto ristretti, un esercito così massiccio di funzionari si aggiunga a quelli già esistenti.
Quanto Rughetti ha affermato muove dalla considerazione che un numero rilevante di dipendenti statali andrà presto in pensione, ma bisognerebbe saper cogliere questa occasione per immaginare un vero ridimensionamento della funzione pubblica. Assumere in quattro anni mezzo milione di persone vorrebbe dire portare nello Stato moltissimi soggetti ben poco qualificati. Oltre a ciò c’è l’esigenza fondamentale di ridefinire il rapporto tra lavoratori del privato e del pubblico. E poiché non è politicamente facile lasciare a casa quanti oggi hanno un posto fisso, bisognerebbe almeno sfruttare i pensionamenti per ridurre in maniera massiccia la grande massa dei lavoratori statali.
Quanti lavorano in imprese private, come proprietari o dipendenti, sono all’origine della ricchezza che finanzia le guardie forestali, gli uffici del catasto, le prefetture e via dicendo. È quindi interesse dei lavoratori del privato che i super-concorsi per reclutare più di centomila persone all’anno non partano.
Se non si inizia a mostrare un minimo di rispetto per quanti pagano le tasse e non si riduce il prelievo fiscale che essi subiscono, anche il settore pubblico sarà travolto. Ed è ovvio, quindi, che la disoccupazione non si vince in questo modo, ma invece creando le condizioni per una rinascita dell’economia.
Per giunta, è bene ricordare che lo Stato non è solo una struttura che produce servizi per i cittadini. Qualche volta è così, anche se i costi dei servizi sono altissimi e anche se le risorse sono ottenute senza consenso. Ma oltre a ciò, in tantissimi casi quanti lavorano nella funzione pubblica sono d’ostacolo alla libera espressione della società civile e dell’economia di mercato.
Si parla di continuo, anche con una certa retorica, di sburocratizzare la società, semplificare, ridurre il peso che lo Stato esercita sui cittadini. Ma come si potrà ottenere questo risultato se non si individuano i settori in cui lo Stato deve ritirarsi e se non si inizia a ridimensionare il numero dei lavoratori statali?
Assumere 500mila giovani nello Stato porterebbe un colpo terribile alle imprese private: per le conseguenze di tutto ciò sulla finanza pubblica, ma anche a causa della perpetuazione di una regolazione asfissiante che, al contrario, va seriamente combattuta.
Da Il Giornale, 17 settembre 2017