2 Maggio 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
I dati diffusi nell’imminenza della festa dei lavoratori offrono una rappresentazione eloquente dei disastri conseguenti a decenni di alta tassazione e regolazione. Lo studio realizzato da Unimpresa, in effetti, mette il dito nella piaga, ricordando come ben nove milioni di italiani siano a rischio povertà. Invece che autocelebrarsi nelle piazze, allora, i sindacalisti dovrebbero fare un esame di coscienza e rivedere le proprie linee di condotta.
Se manca il lavoro e se anche quanti hanno un’occupazione spesso possono contare su retribuzioni modeste, questo si deve al fatto che lo Stato pesa come un macigno sull’economia: esso sottrae un’enorme quantità di risorse e, oltre a ciò, impedisce quello sviluppo dei rapporti contrattuali che è alla base di ogni crescita. Avere eliminato i voucher, ad esempio, renderà ancora più difficile la vita di tante imprese e ostacolerà ancor più quanti cercano di guadagnarsi da vivere. Se il miglioramento delle condizioni di vita deriva sempre e soltanto dalla libera inventiva, dall’impegno e dal moltiplicarsi degli scambi, in questi anni i governi (spesso subendo i diktat sindacali) hanno fatto quasi tutto il possibile per impedire la crescita. E se ora l’esecutivo salverà 13mila posti di Alitalia, sarà solo per bruciare risorse che qualora lasciate nelle tasche di chi le ha prodotte con ogni probabilità potrebbero crearne molti di più. Una delle ultime battaglie di retroguardia è stato il «no» al lavoro festivo, conseguente alla pretesa d’imporre a tutti come devono vivere. Ma questa logica autoritaria, nei fatti, può solo aumentare la disoccupazione. Le strutture corporative che condizionano la vita produttiva (la Cgil e non solo), ogni Primo maggio scendono in piazza in nome dei lavoratori e a «difesa del lavoro», ma sono impegnate in attività che impediscono a molti giovani e meno giovani di costruirsi un futuro.
Il sistema di tutele che è stato costruito spesso nega la possibilità d’interrompere un rapporto di lavoro anche quando il dipendente non è giudicato interessante dall’azienda. Tutto ciò, unito al prelievo fiscale esorbitante, frena molte imprese dall’assumere e spinge pure a trasferire fuori dalle frontiere i propri impianti. Statalismo e demagogia sono all’origine del disastro italiano. Se i sindacati non lo comprendono e non cambiano rotta, sperare in un futuro migliore è proprio da ingenui o da sprovveduti.
Da Il Giornale, 1 maggio 2017