L'Italia è tornata credibile, ora deve giocarsela

Il Paese deve mirare ai vantaggi politici raccogliendo per primo l'invito a coordinare obbiettivi e tempi delle riforme strutturali

5 Febbraio 2015

Il Sole 24 Ore

Franco Debenedetti

Presidente, Fondazione IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Anni fa era a causa del succedersi di governi che era già tanto se arrivavano all’armo; poi fu a causa degli scandali di Tangentopoli; poi per quelli che venivano giudicati “unfit”: per un verso o per l’altro il sistema politico italiano, visto da fuori, era considerato poco prevedibile e poco affidabile. Adesso che al Quirinale è andato un uomo politico dalla biografia impeccabile, e a Palazzo Chigi c’è un leader di rara capacità politica, quel cliché va archiviato. Non solo: mentre in Francia e Spagna partiti populisti antieuropei potrebbero vincere le prossime elezioni, mentre l’Inghilterra, a seguito del referendum, potrebbe uscire dall’Unione Europea, nel caos provocato dalla vittoria di Tsipras e dalle prime dichiarazioni del suo ministro delle finanze, l’Italia è un elemento di stabilità. Coincidenze così singolari non succedono sovente, e possono non durare a lungo: non c’è dubbio che Renzi se ne sia reso conto. C’è da augurarsi che voglia non sprecare l’occasione. Il problema è come e con chi giocarsela.

Chi dà le carte è ovviamente la Germania. È vero che l’uscita dall’euro sarebbe per la Grecia un disastro assicurato, ma anche per la Germania presenterebbe rischi incalcolabili. Tant’è che la Cancelliera, che in un primo momento era parsa considerare l’uscita possibile, nel 2012 aveva cambiato idea, dichiarando eccezionale e unica la situazione greca era: nessun paese dell’euro deve uscirne. Con le prime dichiarazioni di Tsipras e Varoufakis sembrava di essere tornati al MAD (mutuai assured destruction) della guerra fredda. Già ieri i toni si sono smorzati, con una rapidità che denota, quanto meno, impreparazione. Meglio così, ma ci vuol altro per considerarle “buone notizie”, capaci di fare “cambiar passo all’Europa”, come baldanzosamente dice Jean-Paul Fitoussy. Resta il fatto che, per la larga maggioranza dei tedeschi e non solo per AfD, una moneta solida è elemento fondante del sistema di valori economici; evitare l’uscita del paese da un’unione monetaria che confligge con le convinzioni più radicate del paese potrebbe, alla lunga, diventare impossibile. Per questo un’alleanza dei deboli per forzare la mano alla Germania non è una soluzione: Grexit e Gerexit non sono un’alternativa, sono entrambi impraticabili. Per smontare il ricatto, bisognerà giocare contemporaneamente sui due piani, quello economico e quello politico, quello che si esige sull’uno essendo la garanzia per quello che si concede sull’altro.

Giocarsela vuol dire usarla, questa nostra nuova credibilità, perché da tutti gli stati europei e non solo dalla Germania venga l’ammonimento ai governanti greci che l’Unione è fondata sui trattati. Che quindi non si potrà da una parte disconoscerli, e dall’altra pretendere che in base ad essi il debito sia cancellato. Che un governo uscito da un processo democratico e non da un colpo di stato non può disconoscere gli impegni assunti dai precedenti legittimi governi. Che non sipuò chiedere aiuto all’Europa e strizzare l’occhio ai paesi che l’Europa sta sanzionando. Che queste non sono formule propiziatorie da recitare per calmare i mercati, ma princìpi a cui informare l’azione di governo e il discorso pubblico quando dalle promesse ripasserà alle riforme.

Giocarsela significa usarla, la nostra nuova credibilità, anche per rassicurare la Germania: che le concessioni economiche che si dovranno fare alla Grecia, e che richiederanno dosi ingenti di generosità e di fiducia, non sono un ulteriore passo, dopo il QE, verso la finanziarizzazione dei debiti degli stati, la mutualizzazione dei debiti, la transfer union. Quella di un’Europa federale, l’ha riconosciuto anche Michele Salvati, è una scommessa irrealistica: la politica, e l’abbiamo toccato con mano lungo il percorso che ha portato Sergio Mattarella al Quirinale, è largamente un affare nazionale. Come parlare di Stati Uniti d’Europa quando la grande massa dei cittadini, anche quelli che si considerano europei e vogliono restarlo, sono gelosi della propria identità nazionale? Alla fine conta qualcosa che il Missouri non abbia dietro di sé la storia degli Asburgo, o il Wisconsin quella dei Medici.

Giocarsela vuol dire mirare ai vantaggi politici. Perché quanto a quelli economici, è ingenuo pensare che se ne possano trarre dal disastro greco, perché l’Europa non parlerebbe più la lingua del rigore: i salvataggi costano e noi dovremo pagare la nostra parte. Vantaggi politici potremmo trarre raccogliendo per primi l’invito di Draghi agli stati dell’eurozona di coordinare tra loro obbiettivi e tempi delle riforme strutturali. Prendere l’iniziativa potrebbe consentirci di gestire l’agenda nel modo a noi più vantaggioso. Ma soprattutto servirebbe a Renzi nei riguardi di chi, nella sua maggioranza, pensa che si possano annacquare le riforme, perché tra Quirinale e Grecia sarebbe cambiato il clima; mettendo al contrario in chiaro che la ricreazione è finita, e che, se non per 7, almeno per 3 anni non se ne prevedono altre. Se poi la conquistata autorevolezza ci desse qualche titolo nella pratica attuazione del piano Juncker, qualche vantaggio se ne potrebbe trarre. Pur contutte le riserve che su quel piano ci sono, trovare due o tre iniziative finanziabili, cioè redditizie, non distorsive del mercato, e immediatamente cantierabili non dovrebbe essere impossibile.

Da Il Sole 24 ore, 5 febbraio 2015
Twitter: @FDebenedetti

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