Ai tempi di Umberto Bossi, la Lega voleva riportare l’Italia a prima dell’Unità, per ragioni politiche, disgregandola negli stati indipendenti in cui una volta era divisa. Adesso che, con Matteo Salvini, ha perso il richiamo al nord, il Carroccio ancora nutre l’ambizione di tornare alla prima metà dell’Ottocento, ma per una ragione economica: ha in mente un futuro nel quale, come allora, il principale contributo al pil verrà dall’agricoltura. Questa, almeno, è l’impressione che si ricava leggendo il programma per le elezioni europee di domenica prossima, dove il sostantivo “agricoltura” e gli aggettivi derivati ricorrono quindici volte in nove pagine (industria appare sei volte, servizi mai). Per rendersi conto della sproporzione, è utile ricordare che nel 1861 l’agricoltura rappresentava il 46,1 per cento del valore aggiunto contro il 30,4 per cento dei servizi; nel 2017 i due settori pesavano, rispettivamente, per il 2,1 e il 74 per cento. Tuttavia, questa idea della nostra economia non è l’unica stranezza del programma leghista: infatti, tale documento è ovunque irreperibile – come scritto sul Foglio del 14 maggio 2019 – e siamo riusciti a ottenerlo solo da fonti interne al partito. Si può quindi dire che al momento, a tre giorni dal voto, il programma per le europee della Lega esiste ma è riservato. Si tratta di un dattiloscritto in carta bianca, diviso in quindici capitoletti.
L’impostazione con cui gli strateghi della Lega affrontano l’Europa è ben riassunta dal primo paragrafo, significativamente intitolato “No all’Europa delle lobby e dei burocrati”. Il potere di iniziativa legislativa, si legge, ”è nelle mani della Commissione e delle sue lobby”; al contrario bisogna trasformare “questa Unione europea dei poteri occulti in una rinnovata democrazia di prossimità”.
La diagnosi è piuttosto semplice: gli altri ce l’hanno con noi. Infatti, “abbiamo constatato come tutte le regole (dalla concorrenza, alle politiche di bilancio, così come sulla cosiddetta unione bancaria) non siano applicate allo stesso modo a tutti i paesi. È ora di smetterla con i privilegi accordati sistematicamente a Francia e Germania”.
Dal punto di vista economico, ne emerge l’immagine di un paese agricolo, con una vocazione fortemente protezionistica, e una politica di bilancio tardo-keynesiana. A tal fine, “il Patto di stabilità… va completamente sostituito”, in quanto “è ‘stupido un sistema il cui obiettivo supremo sia la riduzione del debito, invece della crescita”. È come se la crescita fosse funzione unicamente della spesa pubblica, e quest’ultima potesse alimentarsi solo del maggiore indebitamento. L’intervento europeo piace alla Lega quando implica trasferimenti (impliciti o espliciti) dagli altri paesi all’Italia, ma smette di piacere quando il flusso delle risorse va in direzione opposta: pertanto, basta all’Italia contributore netto del budget Ue e no a ogni “ipotesi di tasse europee”. Se proprio qualcuno deve pagare, lo facciano le multinazionali – proposta, questa, identica a quanto chiedono il Movimento 5 stelle e il Partito democratico, perché nulla unisce la politica italiana più della religione del pasto gratis. E in ogni caso bisogna cancellare il Patto di stabilità e tutte le regole di coordinamento fiscale, “ridiscutere tutti i Trattati per restituire agli stati libertà di decidere le proprie politiche economiche, per garantire crescita e occupazione”. La proposta di riforma dei Trattati si estende a uno stravolgimento dello Statuto della Banca centrale europea, che “dovrebbe garantire almeno una parità di trattamento nei rendimenti dei titoli di stato”: in pratica la Bce dovrebbe monetizzare i deficit sovrani fino ad “almeno” azzerare lo spread di tutti gli stati. Non è chiaro il concetto di “almeno” (l’ipotesi sarebbe di avvantaggiare l’Italia rispetto agli altri?), ma questo grande progetto di riforma dell’Unione europea – che da un lato toglie a Bruxelles tutti i poteri regolatori, fiscali e di bilancio e dall’altro attribuisce a Francoforte il potere di stampare soldi a volontà (dei singoli stati) – trasformerebbe l’Europa in una grande banca. Che come esito, oltre a essere totalmente irrealistico, è anche un po’ paradossale per chi è partito scagliandosi contro l’Europa dei banchieri.
Per il resto, gran parte delle attenzioni per il mondo produttivo sono riservate all’agricoltura, attorno a cui ruotano proposte di espansione del bilancio comunitario, la richiesta di più stringenti forme di sussidio e protezione dalla concorrenza estera (inclusa da altri stati Ue). Anche il consumatore va tutelato, beninteso, ma solo “in relazione al suo ruolo di sostegno principale della produzione europea, prima di tutto” (qualunque cosa voglia dire). Dunque, “occorre mettere mano alla disciplina degli aiuti di Stato, più volte rivelatasi inadeguata e di soggettiva interpretazione, vero e proprio ostacolo a interventi pubblici mirati che sarebbero stati decisivi per sostenere un determinato settore produttivo”. Per riassumere: più spesa pubblica discrezionale, più debito pubblico, meno concorrenza internazionale, prima gli ortaggi italiani.
Non mancano i temi dell’immigrazione (ricondotta a una mera questione di sicurezza) e del collocamento internazionale dell’Italia. Sulla difesa delle frontiere, la Lega rinuncia alla revisione di Dublino ma ne declina l’applicazione in questi termini: “Il problema del “paese di primo arrivo”, posto dal regolamento Dublino III’, può essere aggirato a monte azzerando gli arrivi, come sta dimostrando l’azione del governo italiano: se non arrivano più clandestini, non si pone più il problema di dove collocarli”. Per quanto riguarda invece la politica internazionale, dovremmo “ristabilire un rapporto bilanciato con Stati Uniti, Russia e Cina”, e perseguire il “blocco immediato dell’adesione della Turchia all’Ue” (che del resto nessuno vuole, neppure la Turchia). “Non è possibile guardare alla Russia come a un nemico da sanzionare”, “non è sensato opporsi alla politica dell’Amministrazione Trump che fa giustamente gli interessi degli Stati Uniti” e “tutta la diffidenza verso nuovi attori globali come la Cina non sembra del tutto comprensibile”. D’altro canto “è ora di smetterla con i privilegi accordati sistematicamente a Francia e Germania”. Buoni rapporti con tutti, tranne che coi nostri vicini. Pace nel mondo, guerra in Europa.
Da Il Foglio, 24 maggio 2019