Come la prima legge per la concorrenza del governo Meloni, anche questa seconda mostra una certa riluttanza a trattare la materia.
Non è una novità che la concorrenza piaccia poco al nostro paese, e non solo a questo governo, che non fa nulla per nascondere la sua simpatia per riconosciute posizioni di rendita, come quella dei balneari o dei tassisti. Prima del Pnrr, delle leggi per promuovere la concorrenza, che dal 2009 avrebbero dovuto essere annuali, se ne è vista solo una, nel 2017. Il Pnrr ha quindi ripreso questo impegno andato a vuoto e tra le riforme in esso previste figura anche la loro approvazione annuale per tutta la durata del Piano, a dimostrazione che, per promuovere la concorrenza, c’è bisogno di un vincolo esterno.
La proposta passata ieri in Consiglio dei ministri adempie all’impegno della terza legge annuale prevista del Piano e si può distinguere in tre parti.
Una prima parte contiene le modalità di affidamento e gestione delle concessioni autostradali, che è l’obiettivo più importante tra quelli presi con Bruxelles per la legge di quest’anno. Meritoriamente, le misure in materia sono direttamente applicabili, senza necessità di atti delegati, che spesso sono l’anticamera di un nulla di fatto. Tuttavia, l’aspetto di apertura alla concorrenza sembra attenuarsi su due questioni rilevanti: il termine delle concessioni in essere, la cui durata è fatta salva rispetto a quello ordinario di 15 anni (ci sono concessioni che scadono persino nel 2064), e una sostanziale indifferenza tra la scelta di affidamento con gara e l’affidamento diretto, con possibilità espressa di affidamento ad Aspi, che gestisce 3000 km circa di rete in concessione. Da una prima lettura, la riforma sembra voluta più per riaccentrare la gestione allo Stato, come emerge dalla decisione di fargli riscuotere direttamente i pedaggi e di sottrarre alle regioni le autostrade oggi di loro competenza.
Una seconda tipologia di norme si può dire marginale, se non ininfluente: monitoraggio di prezzi, attività di rilevazione degli usi commerciali da parte delle Camere di commercio, riporzionamento dei prodotti preconfezionati sono tutte cose di cui non si vuol mettere in discussione l’importanza, ma i dettagli su cui interviene il disegno di legge non cambieranno né lo stato delle specifiche discipline settoriali né, tanto meno, la competitività dell’economia italiana. Ciò si può dire anche per alcuni interventi sartoriali sulle norme che disciplinano le start up o le frodi assicurative.
Infine, il disegno di legge interviene su due settori importanti, anche nella percezione dell’opinione pubblica, ma in un senso quasi paradossale.
Il primo riguarda i dehors, per il cui riordino viene prevista una delega. Dopo il Covid, e complice anche la moratoria sull’autorizzazione alla loro installazione qui prorogata fino all’approvazione del decreto legislativo, le nostre città sono state animate e talora ingolfate dai tavolini di bar e ristoranti: il rischio è che l’eventuale decreto legislativo servirà non a rimuovere ma a introdurre nuove barriere regolatorie.
La norma più paradossale è, in ogni caso, quella sui tassisti e noleggiatori con conducente abusivi. Nell’esasperazione generale per la prepotenza dimostrata in questi mesi (anni) dai tassisti e appena dopo il monito ricevuto dalla Corte costituzionale per rimuovere le posizioni di rendita del settore, il Governo non ha avuto di meglio da fare che regolare le sanzioni per gli abusivi.
Come si diceva all’inizio, la scelta di aver inserito le leggi per la concorrenza come riforme abilitanti del Piano è coerente con la cattiva prova data finora dalle forze politiche di superare proprio le posizioni di rendita consolidate e di rappacificarsi con pressoché tutta la letteratura economica, che riconosce come la concorrenza favorisca una migliore allocazione delle risorse, aumenti la produttività e, non da ultimo, consenta la libertà di iniziativa economica.
In effetti, per il momento l’impegno verso Bruxelles è riuscito là dove un auto-vincolo del Parlamento – quello appunto vigente dal 2009 – non era riuscito. Anche quest’anno, il Consiglio dei ministri ha fatto la sua parte.
Ma le riforme inserite come traguardi del Pnrr vanno interpretate come contenuto minimo necessario, come pungolo e sostegno a fare ciò che la politica nazionale fatica a fare da sé. Non come un obbligo formale attraverso cui far passare norme persino urtanti il senso di rispetto per i consumatori, prima ancora che la promozione della concorrenza.