Due italiani su tre, secondo un’indagine ISPO, fanno acquisti la domenica, soprattutto di beni alimentari. Basterebbe questo dato a far comprendere se la liberalizzazione degli orari dei negozi sia stata positiva o meno.
Invece, nel periodico tentativo di ripristino degli obblighi di chiusura, in questi giorni fortemente incoraggiato dalla proposta del ministro Di Maio di tornare alle chiusure domenicali con turni di apertura come se si trattasse di un servizio pubblico, si parla sempre di altro.
Si parla delle condizioni di lavoro dei dipendenti, trascurando che se non vengono rispettati gli obblighi di legge e di contratto collettivo non è per colpa delle maggiori aperture, e, soprattutto, dimenticando le migliaia di persone (almeno 40.000) che, grazie alla liberalizzazione degli orari, hanno trovato lavoro. In anni di crisi occupazionale, non è affatto poco.
Si parla dei piccoli esercenti, tralasciando che le principali sfide che devono affrontare non dipendono dalla maggiore disponibilità dei grandi esercenti di restare aperti negli orari festivi, ma dipendono dal potere di acquisto delle persone, dalle mutate esigenze e abitudini di consumo e dal commercio on line, che nel solo ultimo anno è cresciuto di circa l’8%.
Si parla dei disattesi obiettivi di maggior consumo, che non sarebbe stato stimolato dalla liberalizzazione degli orari.
Il beneficio di decidere in totale libertà quando stare aperti o chiusi non è, però, nel comprare di più, ma nello scegliere quando comprare.
Di continuo si invoca una maggiore attenzione alle esigenze di conciliazione famiglia-lavoro. Una delle scelte più riuscite negli ultimi anni, peraltro a costo zero, è proprio la possibilità di fare la spesa la domenica. Si tratta di una possibilità che, grazie a una legislazione sul lavoro e a una contrattazione collettiva nazionale, settore per settore, ampiamente garantiste nei confronti dei dipendenti, può e deve convivere con quelle medesime esigenze di conciliazione che hanno i commessi e dipendenti. La disciplina dei turni, i tetti massimi di orario giornaliero e settimanale, gli obblighi di riposo, il riconoscimento di una maggiore retribuzione in caso di straordinari, nonché ulteriori, specifiche tutele (come ad esempio il diritto dei dipendenti che hanno figli molto piccoli di rifiutarsi di lavorare nei giorni festivi) esistono e devono essere rispettati al di là della disciplina degli orari.
L’Italia, ricordano i sostenitori dell’obbligo di chiusura, per lunghi anni ha limitato severamente le aperture festive. Forse la bassa partecipazione delle donne al lavoro, con questa storia, qualcosa ha a che fare.
11 settembre 2018