A ogni elezione la disciplina della par condicio appare sempre più ridicola.
Il regolamento approvato dall’Agcom la settimana scorsa per le elezioni politiche di marzo non fa eccezione – per tre motivi, due generali e uno specifico.
Che il pluralismo, l’imparzialità, l’indipendenza, l’obiettività e la completezza della comunicazione siano garantiti non dalla libera circolazione delle idee, ma dalla loro compressione in “contenitori” (sic!) uguali e predefiniti dall’autorità amministrativa è un paradosso piuttosto evidente, giustificato da una malsana idea secondo cui la bontà degli argomenti e la loro capacità di persuadere siano determinate dai minuti a disposizione.
Ma se davvero c’è qualcuno che non crede che le idee debbano e possano circolare in maniera aperta e libera, anch’egli troverà bizzarra la disciplina della par condicio.
Essa si applica, infatti, solo alle emittenti televisive e radiofoniche private e alla stampa quotidiana e periodica.
Meno della metà della popolazione apre un giornale almeno una volta a settimana, mentre una percentuale superiore usa tutti i giorni internet. Non necessariamente lo usa per informarsi sui programmi di governo, ma è probabile che lo faccia anche per questo. Che i leader politici, che sempre più assiduamente coltivano questi strumenti, abbiano preso una cantonata? Nel nostro Paese, esiste persino un movimento politico che ha scelto come proprio principale mezzo di comunicazione, sin da principio, non una rivista o un giornale, come avveniva nel secolo scorso, ma un blog.
Per fortuna, controllare la comunicazione, politica e no, su internet sembra impossibile, ed è per questo che si continua inverosimilmente a monitorare solo tv e giornali. Che vi sia una spiegazione, però, non rende meno farsesca l’immagine di persone che contino al cronometro il tempo riservato nelle tv nazionali e locali ai vari contendenti.
Non pago della intrinseca inadeguatezza a irrigidire la circolazione delle idee e della propaganda elettorale, il regolamento dell’Agcom estende l’obbligo di parità delle armi anche ai non politici. Si stabilisce infatti che, laddove il format della trasmissione preveda l’intervento di un giornalista o di un opinionista a sostegno di una tesi, sia garantito uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali. Siccome la realtà tende a superare la fantasia, è così che siamo finiti a chiedere la par condicio per le dichiarazioni di Orietta Berti. Mezza Italia si è messa a ridere quando ha appreso la notizia, eppure in punto di regolamento era una richiesta ineccepibile.
Un’opinione ha certamente bisogno di mezzi, strumenti e tempo, per essere esposta. Ma la disciplina della par condicio, che – ovviamente – non trascura nemmeno l’equilibrio (di genere) all’interno dell’equilibrio (di idee politiche), pretende di confezionare la validità degli argomenti nelle caselle prestabilite dei tempi della comunicazione. Una sorta di autoritarismo strisciante: si direbbe pericoloso, se non fosse così ridicolo.
16 Gennaio 2017