Gentile ministro Lorenzin, non aggiungerò inutilmente la mia voce alle traboccanti reazioni sul Fertility day. D’altro canto, scandalizzarsi oggi del Fertility day è fuori tempo massimo: non è altro che una delle tante misure previste dal Piano nazionale per la fertilità, da lei presentato a maggio 2015. È nelle sue 137 (137) pagine di educazione alla fertilità, più che nell’inutilità di una giornata ad essa dedicata, che avremmo dovuto scorgere già da un anno la retorica del paternalismo di stato.
Non credo nemmeno che ci si debba scandalizzare per la contraddizione di uno stato che non sa garantire il futuro ai giovani e che li chiama a prolificare come li chiamasse alle armi. Fermo restando che, a mio avviso, lo stato più che non garantire il futuro ha per fisiologica missione quella di rubarlo, sono anche persuasa, dal confronto con la mia generazione, che, se non si fanno figli, i motivi hanno a che vedere con lo stile di vita e con l’incapacità culturale di fare spazio ai bambini e alle madri, più spesso di quanto non abbiano a che vedere col debito pubblico o col sistema previdenziale.
Mi rivolgo tuttavia a lei per suggerirle una banale iniziativa che non vedo nelle 137 (137) pagine del Piano nazionale, ma che darebbe un segnale coerente al richiamo di stato alla genitorialità. La legge italiana proibisce la pubblicità di qualsiasi tipo o altre forme di incentivo per la vendita di latte artificiale peri più piccoli: il latte di tipo 1 non può essere reclamizzato, né consegnato in campioni omaggio, non può essere oggetto di sconti e offerte, non può costituire il contenuto di sponsorizzazioni di eventi. Il divieto, coerentemente con le linee dell’Oms, sarebbe funzionale a tutelare l’allattamento al seno, ostacolando le iniziative di marketing di latte sostitutivo di quello materno. Dare ai figli il latte materno è sicuramente l’opzione migliore, e l’Oms lo ripete in tutte le lingue. Tuttavia, il latte artificiale non necessariamente è una scelta voluta: ci possono essere problemi di salute o semplicemente difficoltà di vario tipo nell’allattamento che impongono questo nutrimento.
Quand’anche fosse una scelta voluta, siamo sicuri che non sia degna di rispetto in quanto scelta inerente la vita privata delle persone e il modo in cui decidono, all’interno delle mura domestiche, come prendersi cura dei propri figli? Impedire per via legale le forme di marketing è il segnale, simbolico per quanto marginale, di uno stato che non sa stare al suo posto.
I giovani non hanno bisogno di un’educazione pubblica alla genitorialità. Queste sono scelte private di cui le istituzioni non dovrebbero impicciarsi. Occorre invece, questo sì, evitare di scoraggiarli dal diventarlo. E per fare ciò, prima di urticanti iniziative come il Fertility day, partiamo dalle cose semplici, come riconoscere che il nutrimento da dare nei primi mesi di vita non è un affare di stato.
Da Il Foglio, 8 settembre 2016