L’Europa, non l’Italia, rappresenta la meta dei migranti, e per questo i flussi migratori non possono riguardare solo il Paese di prima accoglienza, ma tutti i Paesi europei.
Si può, con i dati e la ragione, obiettare che al momento non c’è alcuna emergenza migranti; si può anche discutere degli effetti positivi delle migrazioni, ma due questioni sembrano vere al punto da rendere vana ognuna di queste due considerazioni. La prima, banale quanto importante, è che l’Italia si trova in una posizione cruciale per l’arrivo in Europa, e su questa condizione geografica gli altri Paesi europei che costituiscono il vero desiderio di approdo tendono a rilassarsi di fronte ad atteggiamenti diplomatici non muscolari e ad evitare di porsi il problema.
La seconda, è che – dati e razionalità a parte – esiste un diffuso sentimento di saturazione, esasperazione e insicurezza delle persone, il quale trova nello straniero il punto terminale della loro insofferenza, anche laddove non ne sia necessariamente la causa.
Per quanto possa risultare moralmente riprovevole usare i barconi in mare quale arma di ricatto per far sentire la propria voce, per quanto sia chiaro che far passare il vertice europeo come uno «spartiacque» tra la fine o la prosecuzione dell’Unione europea come spazio di libera circolazione è un messaggio politico rivolto al proprio elettorato, piuttosto che all’Europa, potrebbe essere di effettivo vantaggio il fatto che Salvini abbia concentrato tutta l’azione di governo sulla questione migranti. Può esserlo in primo luogo dal punto di vista della politica estera: anche se non c’è al momento un’emergenza, la questione demografica rende necessaria una linea d’azione comune che superi i vincoli della prima accoglienza, ed anzi è tutt’altro che negativo che se ne possa parlare quando non esiste un’emergenza in corso. Può esserlo inoltre dal punto di vista della politica interna, perché concentrare l’opinione pubblica su questo vuol dire rallentare l’adempimento di altre promesse elettorali di largo consenso, ben pericolose per i conti pubblici e per il nostro già difficile sistema economico. Che il decreto dignità sia slittato senza troppo clamore potrebbe esserne una conferma, e una buona notizia: meglio non fare, che far male. A questo punto, però, occorre confidare che il presidente Conte, come ha promesso, non accetti sul serio compromessi al ribasso.
Nel 2016, Renzi aveva chiesto all’Unione europea di tenere fuori dai tetti del patto di stabilità i soldi necessari per i migranti e per il terremoto. Ne era nata una negoziazione che aveva consentito di portare il disavanzo al 2%. Sarebbe una brutta notizia se il muso duro del governo sulla questione migranti si rivelasse solo una maschera. Il rischio è che fare la voce grossa serva non a farsi sentire sulla questione demografica e migratoria, ma a ottenere il contentino di una flessibilità di bilancio che aveva sfiorato anche la mente di Renzi. E, con quella flessibilità ulteriore, cominciare ad attuare le politiche economiche, a cominciare dalla fiat tax in deficit e dal reddito di cittadinanza, che, per fortuna, in questi giorni sembrano passate in secondo piano.
da Il Mattino, 29 giugno 2018