La Francia agitata non sa dove andare

Questo paese non vuole tecnocrati ma invoca demagoghi

17 Dicembre 2018

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

A Parigi, nella giornata di ieri, la situazione è sembrata orientarsi verso la normalità, con manifestazioni di minore intensità.  Lunedì scorso il presidente Emmanuel Macron aveva parlato in televisione, ammettendo gli errori e, per giunta, promettendo riforme gradite ai protestanti dei “giubbotti gialli”: dalla cancellazione dell’imposta sul carburante all’aumento dei salari. Inoltre le vittime dell’attentato di Strasburgo sono state subito sfruttate per invocare una maggiore unità: quasi a dire che di fronte alla violenza dell’islamismo terrorista sarebbe opportuno accantonare ogni divisione. 
 In ogni momento, però, il fuoco potrebbe riaccendersi forte come prima, perché non solo è facile prevedere nuove mobilitazioni per i giorni a venire, ma soprattutto perché il disagio è profondo. Non tanto nella capitale, dove la vita è molto cara ma pure i redditi sono elevati, quanto invece in quella provincia che sta subendo un grave regresso. 
 È significativo che tutto sia partito dall’aumento del prezzo degli idrocarburi: una misura ecologica gradita a larga parte dei cittadini di Parigi, dove si può vivere bene anche senza automobile, ma osteggiata da quanti devono percorrere anche 100 chilometri al giorno per andare al lavoro. L’algido Macron è stato subito investito da una protesta che ha rivelato come sia difficile mantenere il potere quando prima si è stati al governo con i socialisti di Hollande, poi si è creato dal nulla un partito e, infine, si è gestito il potere con una piccola corte di tecnocrati. 
 Se Macron in qualche modo simboleggia una élite lontana dai cittadini, e per questo ora è considerato il responsabile di ogni difficoltà, va comunque aggiunto che in realtà non si riesce a immaginare chi possa portare questo paese fuori dal guado. Come l’Italia, la Francia è vittima di un morbo che non può essere eliminato con la semplice sostituzione di un presidente o anche con il passaggio a una nuova (la sesta) Repubblica. 
 La Francia è in ginocchio per ragioni in parte simili a quelle dell’Italia. Oltralpe la tassazione è perfino più alta che da noi, anche se al momento il debito è un po’ inferiore. Per giunta, il ruolo dello Stato è quanto mai pervasivo e gli spazi dell’economia privata sono ristretti. Da anni il sistema produttivo è dominato più dai grandi colossi, pubblici e privati, e non dalle piccole aziende. 
 In sostanza, politici e funzionari gestiscono pure la vita economica, sapendo intrecciare stretti rapporti con tutte le principali imprese. 
 Questo paese ingessato ora si agita, ribolle, torna in piazza e rievoca la Bastiglia. E al tempo stesso non sa dove andare, dato che chiede meno tasse e anche più servizi, più libertà e al tempo più sicurezza sociale. Non vuole tecnocrati, ma invoca demagoghi, e infatti cavalcano i giubbotti gialli sia la destra di Marine Le Pen, sia la sinistra di Jean-Luc Mélenchon. 
 Considerate tali premesse, è difficile immaginare che il disagio della gente comune possa diminuire veramente. 

Da La Provincia, Domenica 16 Dicembre.

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