6 Luglio 2018
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Quello che si è avuto domenica a Pontida è stato l’approdo finale di un lungo processo. Guidata da Matteo Salvini, la Lega ha ormai abbandonato ogni riferimento al Nord e ha accantonato i progetti autonomisti. Nel luogo di tanti raduni bossiani hanno così parlato, tra gli altri, il governatore siciliano Nello Musumeci e quello molisano Donato Torna. Nel suo intervento lo stesso leader leghista non ha fatto alcun cenno ai referendum in Lombardia e Veneto dell’ottobre scorso.
Il dato cruciale è chiaro. Dopo avere ereditato da Roberto Maroni un movimento a pezzi e trovandosi entro un centrodestra con un leader fuori gioco (Silvio Berlusconi), Salvini è riuscito a egemonizzare l’alleanza. Ha puntato su Roma e ha capito che tra i temi classici della Lega quello che più di tutti poteva portargli consensi era la lotta all’immigrazione.
E così il movimento ha smesso di essere l’interprete delle ragioni del Settentrione per sposare un populismo capace di sedurre l’intero paese. Non a caso lo slogan che domina ormai la propaganda salviniana è “Prima gli italiani”. A Pontida, l’Italia è sembrata unita soprattutto dalla retorica: dall’evocazione dei poveri ragazzi che un secolo fa il Regno d’Italia mandò a morire nelle trincee. L’Italia è stata così celebrata nel modo più incredibile: ricordando le vittime di quella che papa Benedetto XV chiamò “l’inutile strage”.
Perché è vero che i morti della Grande Guerra erano veneti e siciliani, piemontesi e campani, ma in primo luogo erano tutti egualmente vittime di un’esaltazione nazionalistica che sarebbe bene non resuscitare mai più.
La maggior parte dei voti leghisti continua oggi a venire dalle regioni del Nord e però già nel Centro i consensi sono alti. Vi sono poi spezzoni di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, anche al Sud, che hanno capito che Salvini è il cavallo vincente. Quando Musumeci ha ottenuto applausi scroscianti dopo aver detto che “il Nord senza il Sud non va da nessuna parte”, è apparso chiaro come la Lega sia ora una formazione italiana espressamente di destra che si è mangiata l’elettorato già democristiano.
In questa fase Salvini è in grado di crescere nel Mezzogiorno senza perdere voti al Nord, ma è evidente che questo Matteo rischia di fare la fine del suo omonimo del Pd. Se non ci saranno risultati in tema di sviluppo e occupazione, infatti, non basterà la più efficace delle propagande. E se non si libera l’economia del Nord, non si vede come sia possibile tornare a crescere.
Sul prato della Bergamasca il Capitano leghista si è autocelebrato, immaginando trent’anni di regno: in Italia e in Europa. Colpisce, però, che l’uomo forte di uno Stato oppresso da un debito pubblico colossale e da un debito pensionistico perfino peggiore non abbia speso parole sull’economia, né abbia indicato una possibile strada che possa allontanarci dal baratro del default. Ed è ancor più significativo che non ci sia stato un solo cenno ai 54 miliardi di euro di residuo fiscale (la differenza tra quanto si paga e i servizi che si ricevono) che la Lombardia perde ogni anno.
Con questa Lega il Nord è solo, ma ciò può aprire anche a scenari politici del tutto nuovi.
da La Provincia, 6 luglio 2018