La lezione di Einaudi ignorata

Per avere un futuro, la destra conservatrice dovrà imboccare la via del liberismo


30 Dicembre 2024

Corriere della Sera

Angelo Panebianco

Autore

Argomenti / Economia e Mercato

Davvero non ci sono alternative? O si sceglie la strada dell’anarcocapitalismo alla Milei, il presidente argentino («abbattiamo lo Stato») o si sceglie lo statalismo, la presenza ingombrante e spesso soffocante dello Stato nella vita economica e sociale? Una via intermedia ci sarebbe. Si chiama liberalismo economico (una cosa che in Italia viene per lo più definita «liberismo»): consiste nel liberare l’economia dai troppi lacci e lacciuoli che la frenano, affermare e difendere il principio di concorrenza tramite una azione dello Stato che elimini o riduca le troppe rendite monopolistiche, fare in modo che lo Stato si concentri sulla produzione di quei beni pubblici (sanità, istruzione, difesa, eccetera…) che non possono essere forniti dal mercato. È la via che indicò Luigi Einaudi (di cui nel 2024 si sono celebrati i cento cinquanta anni dalla nascita).

In tanti hanno osservato la contraddizione. L’entusiastica accoglienza di Javier Milei da parte di Giorgia Meloni ad Atreju a metà dicembre è in conflitto con la tradizione politico-culturale da cui lei proviene e a cui fa riferimento il suo partito: di là un liberalismo economico spinto agli estremi (l’anarcocapitalismo), di qua uno statalismo che al liberalismo economico, anche in forme più moderate, è tendenzialmente ostile.

Per un bilancio sulla attuale manovra economica del governo e, più in generale, sulle sue scelte di politica economica da quando si è insediato, conviene evitare il più possibile di ascoltare le voci apertamente partigiane: come è ovvio, i fan del governo dicono un gran bene di tale politica, mentre i nemici del governo ne dicono un gran male. Per definizione e a prescindere. Meglio affidarsi al giudizio degli specialisti (sulla manovra in corso, Francesco Giavazzi, Corriere del 28 dicembre).

Ciò che però può forse permettersi di dire un non specialista è che, in ogni caso, giunti a metà legislatura, non si è vista, da parte del governo, quella frustata che sarebbe stata necessaria in una economia abituata da decenni a una condizione di bassa crescita.

La frustata di cui la nostra economia avrebbe bisogno consiste in un’opera di sburocratizzazione, di potatura di norme e regolamenti che frenano l’iniziativa individuale. Il contrario dello statalismo che tutto regolamenta e controlla.

Sia chiaro, lo statalismo non è una malattia di cui soffra solo la destra. Riguarda anche la sinistra. Anzi, riguarda un intero Paese larghe parti del quale accettano di buon grado di subire i lacci e lacciuoli imposti dallo Stato e che frenano la libertà di iniziativa dei singoli ricevendo, come contropartita, la protezione statale.

Lo ha recentemente assai ben documentato un economista, Nicola Rossi (Un miracolo non fa il santo, Istituto Bruno Leoni libri): la storia economica e sociale dell’Italia dal 1861 ad oggi mostra che solo nel quindicennio seguente la fine della Seconda guerra mondiale, ci siano state condizioni davvero favorevoli all’iniziativa individuale. Ne derivò quel miracolo economico che rappresenta, nell’intera storia del Paese, un momento eccezionale, una deviazione dalla norma. Un periodo, l’unico, in cui era dominante la cultura della crescita, in cui l’iniziativa privata era valorizzata e che consentì all’Italia un grande balzo economico. Dopo di che, il Paese rientrò nella normalità, ossia abbracciò di nuovo quella forma di statalismo ostile alla concorrenza che penalizza, rendendole la vita assai difficile, l’iniziativa individuale. Con la conseguenza di ripristinare quel regime di bassa crescita che per quasi tutta la storia unitaria del Paese gli ha impedito di tenere il passo con gli altri, più dinamici, Paesi europei.

Un governo stabile avrebbe la possibilità di impegnarsi per imporre una seconda (dopo il miracolo economico degli anni Cinquanta/primi anni Sessanta) deviazione della norma, dalla regola italiana secondo cui, a causa dell’ingombrante presenza dello Stato, viene penalizzata l’iniziativa individuale e frenata la crescita economica. Ma giunti a metà della legislatura si constata che nell’azione del governo è mancata fino ad ora la frustata che servirebbe per invertire la direzione di marcia. Questo spiega perché, nonostante le aspettative che si erano create, i fondi del Pnrr potrebbero risultare per l’Italia un’occasione sprecata. Mancando un habitat favorevole alla crescita, quell’ingente iniezione di denaro difficilmente può contribuire a rimettere in moto l’imballata macchina dello sviluppo economico.

Naturalmente ciascuno (vale per tutti noi) è figlio della sua storia e quella storia lo (ci) condiziona.

Gli applausi a Milei non possono cancellare la lontananza culturale della destra di Meloni dal liberalismo economico. Anzi, per essere precisi, non basta parlare di lontananza. La destra di cui Meloni è leader ha una lunga storia di ostilità nei confronti del liberalismo economico. Come del resto la sinistra nelle sue principali espressioni. Non è un caso che quando la destra cerca di darsi un pedigree culturale, fra i «padri nobili» di riferimento non include mai o quasi mai pensatori liberali.

Però questo è un bel problema per Giorgia Meloni. Se vuole che la sua destra abbia un futuro, se vuole che il suo governo vinca le prossime elezioni politiche, se vuole davvero consolidare una destra conservatrice nel Paese, allora deve riuscire a dare all’economia italiana la «frustata» di cui si detto, deve dare al Paese una autentica prospettiva di sviluppo. Il che significa trovare una qualche combinazione funzionante di conservatorismo sociale (richiesto dai suoi elettori) e di liberalismo economico nel senso detto. Comunque lo si definisca,naturalmente. Non sono le etichette a contare, ma la sostanza.

Si può concludere con una battuta maliziosa. Tra le tante accuse che l’opposizione lancia contro il governo manca quella di essere «liberista». Perché, ovviamente, per le ragioni dette, non lo è affatto. Se mai un giorno sentiremo un esponente dell’opposizione usare quel termine per contestare l’esecutivo, forse potremo dire: sta a vedere che il governo ha finalmente imboccato la strada giusta.

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