Patrimoniale, un’ipotesi che divide la politica e anche gli economisti. Sarebbe utile per rimettere sui binari della crescita il Paese oppure diventerebbe un’ulteriore, deleteria zavorra? Tra i due schieramenti c’è pure chi si pone, diciamo così, a metà strada, ovvero sì alla patrimoniale ma a livello europeo, uguale per tutti. Il dibattito è destinato a intensificarsi poiché c’è chi sostiene l’urgenza di una simile misura per una non rinviabile equità sociale e chi al contrario prevede, nel caso essa venisse introdotta, una drastica frenata degli indici economici. È opportuno quindi approfondire le ragioni degli uni e degli altri.
A favore è Elsa Fornero, docente di Economia politica all’università di Torino: «Ci possono essere molte buone ragioni per le quali il nostro Paese potrebbe considerare un’imposta patrimoniale, e infatti molti Paesi europei ce l’hanno. Le ragioni alla base, spesso abbinate, sono principalmente due: serie difficoltà nella finanza pubblica e gravi iniquità sociali. Un debito pubblico elevato deriva da anni in cui i governi in carica, anziché tassare i cittadini per i benefici loro forniti, rinviano al futuro, e perciò alle generazioni giovani e a quelle che seguiranno, parte delle imposte che servono a finanziare la spesa pubblica corrente. L’assenza di crescita e una impressionante serie di shock negli ultimi decenni non hanno impedito che, mentre la povertà si estendeva, una parte molto minoritaria del Paese aumentasse la propria quota di ricchezza. Si potrebbe quindi stabilire un imponibile minimo piuttosto elevato o limitare l’imposta al momento della trasmissione ereditaria, così come la si potrebbe usare per alleggerire l’imposizione sul reddito da lavoro o evitare un aumento netto della pressione fiscale».
Concorda Emanuele Felice, docente di Storia economica alla Iulm di Milano: «La sola ricchezza finanziaria del 5% più ricco supera i 3mila miliardi. Una semplice aliquota dell’1% darebbe un gettito di 30 miliardi, prelevando da queste persone una modesta cifra, per loro, che non cambia in sostanza nulla nella loro vita. Naturalmente le aliquote si potrebbero calibrare, rendendole via via più progressive, recuperando decine di miliardi in più, secondo un elementare criterio di equità (e anche di utilità, di benessere). L’Italia diventerebbe un altro Paese: più equo, più solidale, più efficiente, crescerebbe anche di più e meglio».
Contrario alla patrimoniale è Nicola Rossi, economista, ha lavorato tra l’altro per il Fondo monetario internazionale, è stato consigliere economico di Massimo D’Alema: «Ritengo errato pensare che il problema della finanza pubblica trovi sempre e comunque soluzione in maggiori imposte. Dato il livello della nostra spesa, qualunque governo dovrebbe prima provare seriamente ad aggredire quello stock, cosa che finora nessuno ha mai fatto. I governi devono assumersi la responsabilità di fare scelte, anche impopolari, difficili, dure. Io credo non sia accettabile che la politica scarichi sulle spalle dei cittadini la propria in capacità di scegliere. È diseducativo lasciare che questo accada. La strada corretta è quella di tassare, all’interno dell’imposta personale, i proventi della ricchezza finanziaria o di quella reale. Se si vuole, si può scegliere una tassazione separata. Ma va fatta sui proventi, non sul valore del patrimonio. A sinistra si pensa ancora che si debba fissare il livello di spesa pubblica e poi a seguire definire le tasse in modo tale da coprire quel livello di spesa. Ma questo è il regno dell’irresponsabilità della politica. Io ho una visione diversa: innanzitutto bisogna capire e chiedere ai cittadini quanto sono disposti a contribuire, su questa base si decide come spendere le risorse».
Contraria, per quanto riguarda gli immobili, è anche Serena Sileoni, docente di Diritto costituzionale all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli: «La costituzione incoraggia e tutela il risparmio anche perché serve in situazioni di necessità. Un’imposta sulla proprietà immobiliare sarebbe quindi sul frutto dei risparmi e sugli investimenti. Bisogna essere perciò accorti eventualmente nel disegnare una patrimoniale, in modo tale da non compromettere l’esistenza stessa di questa forma di risparmio e da non renderla iniqua, ad esempio tenendo in considerazione la presenza di mutui gravanti sul bene».
Dubbioso sulla patrimoniale è Tommaso Di Tanno, che è stato docente di Diritto tributario all’università di Roma Tor Vergata: «Il primo problema sta nel definire che cos’è «patrimonio» (cioè il presupposto dell’imposta) e poi come se ne identifica il “valore” (cioè la base imponibile). Il «patrimonio» è certamente fatto dei beni posseduti direttamente (immobili, aerei, gioielli, opere d’arte, autoveicoli, barche, e così via). Non esiste, però, un’anagrafe di tutti tali beni. Ce n’è una per gli immobili e i mobili registrati, ma nessuna per gioielli e opere d’arte. Occorrerebbe, dunque, innanzitutto istituire un’anagrafe di tutti tali beni prima di pensare a una tassa generale sul patrimonio. Ai beni direttamente posseduti vanno poi affiancati quelli posseduti in via mediata, cioè attraverso veicoli idonei a intestarsi il possesso di cose: società, trust, rapporti fiduciari, e altro ancora. Questa strada è palesemente più complicata perché i veicoli in questione potrebbero operare in ordinamenti che non prevedono la trasparenza dei relativi titolari di diritti. Insomma, la distanza fra l’aspirazione a una tassazione più equa e la sua concreta realizzazione è, vista da vicino, lontana anni luce».
Infine Luca Brugnara, dell’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica di Milano, propone un excursus in ambito europeo della situazione esistente “Il livello di tassazione patrimoniale in Italia, rispetto al totale delle entrate tributarie, è oggi leggermente più alto di quello della media dell’Unione Europea (5,5% contro 5,47%), mentre è significativamente più alto del valore mediano dell’Unione (2,8%). Lo stesso vale anche in termini di rapporto al Pil. Il motivo di questa differenza è che esistono molti piccoli Paesi, soprattutto nell’Est Europa, con una tassazione patrimoniale molto bassa. Alcuni grandi Paesi (Francia in primis, ma anche Spagna e Italia) hanno livelli di tassazione patrimoniale relativamente alti, alzando la media ponderata. Si noti però che il Paese più grande (la Germania) ha un livello di tassazione patrimoniale molto più basso di quello italiano”.