26 Ottobre 2018
Il Secolo XIX
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Le risorse per aiutare Genova a risollevarsi dalla tragedia del Ponte Morandi ricordano il mondo di Alice: niente è come è, perché tutto è come non è, e viceversa.
Sulla carta, i fondi a disposizione sembrano crescere di giorno in giorno e appaiono generosi. Come illustrato ieri dal Secolo XIX, gli stanziamenti del decreto Genova sono cresciuti da 544 a 636 milioni di euro su un orizzonte pluriennale.
Si aggiungono 25 milioni del decreto fiscale e soprattutto la promessa di quasi 500 milioni di euro in legge di bilancio (200 al porto, 160 all’autotrasporto e 100 per la zona franca urbana). In pratica, però, la cautela è d’obbligo.
Intanto, il decreto Genova – attualmente in fase di conversione e dunque il veicolo più immediato e certo – sta seguendo un iter accidentato. La Commissione Bilancio della Camera ieri ne ha sospeso l’esame per i dubbi sulle coperture. Non è un’alchimia per iniziati. Vuole semplicemente dire che, come prevedono la Costituzione e il buonsenso, per ogni euro speso, bisogna indicare la provenienza: un taglio a qualche altro capitolo di spesa, l’aumento di una tassa, oppure l’emissione di nuovo debito (nei limiti di quanto consentito). Le coperture devono essere sicure e credibili, specialmente in una fase tanto delicata di sfiducia dei mercati nel nostro paese e di scontro con la Commissione europea. Se si diffondesse l’impressione che il bilancio pubblico è “truccato” – nel senso che entrate e uscite non sono previste e rendicontate con precisione – le aste per i titoli di Stato andrebbero deserte, e lo Stato non sarebbe in grado di pagare stipendi e pensioni. Alla luce delle difficoltà incontrate durante il percorso del decreto, è doveroso alzare l’attenzione sulla legge di bilancio. Da un lato, il tesoretto che è comparso nelle bozze in circolazione appare significativo.
Dall’altro, quelle bozze al momento non valgono la carta su cui sono scritte: nulla conta realmente finché non viene approvato dal Consiglio dei Ministri e, poi, votato dalle Camere. La strada è lunga e complessa, e incrocia il pasticcio sulla ricostruzione del ponte (incluso il ruolo di Autostrade) e gli esiti delle indagini, oltre ai mille ricorsi che arriveranno.
In Parlamento, gli interessi di Genova dovranno misurarsi con l’esigenza generale di rispettare i saldi di bilancio (peraltro contestati da Bruxelles, perché il nostro Governo si è posto dichiaratamente fuori dalle regole comuni).
Non solo: poiché le risorse sono comunque scarse e il bilancio pubblico è estremamente rigido, Genova dovrà lottare con altre realtà territoriali che reclameranno risorse per sé.
Da questo punto di vista, la scelta di spostare il sostegno al porto e all’autotrasporto – e dunque al cuore pulsante della nostra città – all’interno della legge di bilancio è forse comprensibile nel nome della realpolitik, ma certo espone il capoluogo ligure a rischi che forse non meritava.
Quella che un tempo si chiamava finanziaria è una diligenza fatta apposta per essere assaltata: per Genova è cruciale che quanto le spetta venga costantemente sorvegliato e protetto, perché ne va dalla sua stessa sopravvivenza.
I parlamentari liguri di tutti i partiti dovranno all’erta e giocare veramente nella stessa squadra, perché sul nostro futuro non sono ammesse divisioni.
Da Il Secolo XIX, 26 ottobre 2018