10 Febbraio 2025
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Potrebbe sembrare un paradosso. Da un lato, infatti, il ministro Giancarlo Giorgetti è stato premiato da “The Banker”, il mensile del “Financial Times”, quale ministro delle Finanze dell’anno 2024. La pubblicazione inglese individua ogni anno quanti si sono distinti perla loro capacità di stabilizzare l’economia. D’altro lato, però, l’Istat ci informa che mai la pressione fiscale in Italia è stata talmente alta, con la conseguenza che calano i risparmi. Nulla di cui essere contenti, insomma.
Verrebbe da dire, recuperando un vecchio motto di spirito, che “l’operazione è riuscita e il paziente è morto”. In verità le cose sono un po’ più complicate.
Italia
Di tutta evidenza lo Stato italiano è il grande malato dell’Unione europea, a causa del debito pubblico e di quello pensionistico. Se quindi Giorgetti riceve apprezzamenti è perché ha provato – talvolta perfino con successo – a porre un freno alle politiche più demagogiche.
Resta però da chiedersi se sia possibile immaginare conti più in ordine operando essenzialmente sulle entrate invece che sulle uscite. Ridurre elusione ed evasione può fare affluire maggiori risorse allo Stato e quindi ridimensionare il deficit, ma a prezzo di crescenti ostacoli di fronte a chi vuole lavorare. Se nel breve termine spremere le attività produttive e le famiglie può aiutare il bilancio statale, a lungo andare questo spinge le aziende a disinvestire e i giovani a trasferirsi all’estero.
Dinanzi al gravame del debito, i governi succedutisi negli ultimi anni avevano dinanzi a loro due strade: la prima consisteva nell’accrescere il prelievo e la seconda nel ridurlo (ridimensionando pure la regolazione) per stimolare iniziative e investimenti. Sebbene possa apparire controintuitivo, un modo sensato per sconfiggere il debito consiste proprio nello scommettere che con “meno Stato” gli spiriti animali della libera iniziativa facciano lievitare l’economia: a quel punto, anche un prelievo contenuto produce maggiori entrate. Oltre a ciò, la soluzione liberale chiede una contrazione delle uscite. Se le spese sono contenute, anche la necessità di spremere il sistema produttivo si riduce.
Con ogni probabilità uno sguardo realista sulla realtà italiana ci obbliga a sviluppare due distinte considerazioni.
Perché possa essere adottata una politica coraggiosamente innovativa – a base di meno imposte e meno spese – sono necessari alcuni presupposti. In particolare, un Paese prende questa strada quando ha una cultura diffusa favorevole alla proprietà privata. In varie parti della Svizzera e degli Stati Uniti, ad esempio, strategie di questo tipo sono state adottate con successo, perché non si trattava di proporre un cambiamento totale di paradigma, ma invece di rafforzare logiche già accettate.
Oppure è necessaria una situazione diametralmente opposta. Non si riuscirebbe a spiegare un fenomeno tanto imprevedibile quale è Javier Milei se non si avesse presente la situazione fallimentare in cui l’Argentina è stata trascinata da decenni di peronismo. Se nonostante il suo antistatalismo radicale prima s’è imposto come commentatore televisivo e, in seguito a ciò, è riuscito pure ad arrivare alla Casa Rosada, questo lo si deve al fatto che quel Paese s’è trovato a fare i conti con un dissesto epocale (basti pensare all’iper-inflazione), così che una larga parte della popolazione- soprattutto trai più giovani – ha ritenuto ragionevole e sensato affidarsi a “El Loco”.
Le difficoltà in cui versa l’Italia sono d’altra natura. Se da un lato non abbiamo la solidità economica e l’apertura al mercato delle realtà occidentali più dinamiche, non siamo nemmeno all’ultima spiaggia. Una parte rilevante della società- specie nelle élite – continua a pensare di avere molto da guadagnare da un’attenta gestione dello status quo e per giunta conosce alla perfezione questo sistema e non ha alcuna intenzione di avventurarsi in nuove acque.
Decadimento
Certamente da anni l’Italia sta progressivamente declinando, tanto che i redditi attuali reali non sono ancora tornati ai livelli di vent’anni fa. Il decadimento però è abbastanza lento, così larga parte della popolazione si sta sempre più abituando a questo stato di cose.
Giorgetti si muove dentro questo quadro. Da un lato deve dare rassicurazioni ai partner europei (anche, ma non solo, per l’indebitamento connesso al Pnrr) e dall’altro non si trova entro una società che renda possibili scelte coraggiose. E se non puoi ridurre le spese e abbassare le imposte scommettendo sulla crescita complessiva, non resta che fare tutto il possibile per far crescere le entrate.
Si tratta di un realismo di breve periodo? Senza il minimo dubbio. Nessun Paese può seriamente pensare di migliorare aumentando la percentuale delle risorse gestita da politici e burocrati e diminuendo quella nelle mani delle famiglie e delle imprese.
In fondo, abbiamo qui la riprova che economia e scienza delle finanze non necessariamente seguono binari convergenti. Quando – anche sulla scorta dei lavori pionieristici della cameralistica prussiana settecentesca – gli Stati hanno favorito lo sviluppo di una disciplina economica focalizzata su bilancio pubblico e fiscalità (la scienza delle finanze, appunto), è apparso subito chiaro come fossimo dinanzi a uno strumento dei sovrani e in seguito dei parlamenti.
E Giorgetti risponde molto più ai suoi colleghi professionisti della politica che ai cittadini comuni: ai loro diritti e ai loro interessi.