0,9 per cento proprio no. Più probabilmente 0,8 per cento. Anzi, a parità di giorni lavorativi, 0,7 per cento. Difficile che la cosa faccia una straordinaria differenza. Certo, in questo caso, sarebbe stato meglio un decimo di punto in più che non in meno. Ma, francamente, non parliamo di un evento che giustifichi i titoli di prima pagina, le dichiarazioni di volta in volta imbarazzate o perentorie, le maratone televisive.
Anche perché, in questo caso, la politica ha fatto tutto da sola. E sì, perché il rischio che il 2015 fosse un anno con il freno tirato era noto da mesi e per la verità era molto più che un rischio. E invece no, fra #lavoltabuona, #mettiamocelatutta, #italiariparte, #passodopopasso, #ilcoraggiodi, #eppursimuove, #andarelontano, #avantitutta, #orgoglioitalia, #italiacolsegnopiù, #italiacoraggio, la politica italiana ha passato gli ultimi mesi a convincere stessa (e solo se stessa) via Twitter che le cose stessero diversamente da come stavano. E così, mese dopo mese lo 0,7 è virtualmente diventato lo 0,8, lo 0,8 è diventato – sempre sulla carta – lo 0,9 e, perché no, anche l’1,0 per cento. E se, a febbraio, l’obbiettivo era quello di “riprendere” la Germania, a ottobre l’Italia era già destinata a sostituirla diventando la locomotiva d’Europa, prima di scoppiare, in dicembre, come la rana di Esopo. Come se la politica economica avesse scoperto la pietra filosofale e con essa la possibilità di conseguire qualunque obbiettivo limitandosi a dar fiato alla bocca (pardon, all’Iphone).
La realtà era ed è, invece, assai più prosaica. Ed è quella descritta – con una puntualità che va oltre le nostre aspettative – dal nostro Superindice, di cui l’Istituto Bruno Leoni sta per pubblicare un nuovo aggiornamento: la distanza “macroeconomica” rispetto alla media degli altri paesi membri dell’Eurozona permane ed in prospettiva – guardando cioè al biennio 2016-2017 – tende ad allargarsi. Meno di quanto non avvenisse fino a qualche mese fa (grazie, probabilmente, alla riforma del mercato del lavoro) ma pur sempre tanto da indicare nella Francia e nell’Italia i due principali potenziali problemi dell’Eurozona. Pensare che il problema possa essere superato, come leggiamo, nel momento in cui si scongelasse “l’immenso moloch del risparmio privato” non fa altro che segnalare la distanza fra una politica priva di senso della realtà ed i cittadini che i conti con la realtà li fanno tutti i giorni: fino a tutto il 2013 (e molto probabilmente fino a tutto il 2014) la ricchezza netta per famiglia (espressa a prezzi costanti) era pari a quella osservata alla fine degli anni novanta e di un buon 10% inferiore al picco del 2006. Non ci vuole un dottorato in economia per capire che prima di scongelarsi, “l’immenso moloch del risparmio privato” doveva e, nelle condizioni date, dovrà essere anche più che ricostituito. E quando ciò accadrà, la differenza strutturale fra il nostro e gli altrui tassi di crescita – che per la politica dovrebbe essere l’unico oggetto di attenzione – non sarà stata intaccata di un solo decimo di punto percentuale.
“Crescita in linea con le aspettative” ha dichiarato ieri un autorevole esponente del Governo. E, che ci crediate o no, non è scoppiata a ridere.