20 Aprile 2017
Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Le elezioni presidenziali in Francia, che quest’anno vedono Marine Le Pen con buone possibilità di vittoria, obbligano a riflettere su taluni tratti della cultura politica di quel Paese: così centrale nello scenario europeo ed egualmente oggi tanto attratto da prospettive populiste, protezioniste, euroscettiche, capaci di mettere fine a ogni integrazione economica e culturale del Vecchio Continente.
Da lontano si può ritenere che la candidata del Front National abbia il vento in poppa soprattutto in ragione delle battaglie che, da decenni, conduce contro l’immigrazione. Non c’è dubbio che questo tema pesi moltissimo: sia per le tensioni che caratterizzano le periferie delle città, sia per l’acuirsi del problema del terrorismo islamista. C’è però anche altro.
È infatti difficile pensare che, pure in una fase di profonda crisi e confusione, un candidato di estrema destra avrebbe concrete possibilità di vittoria se in qualche modo non fosse in sintonia con valori che da secoli sono al cuore della tradizione del Paese. E non c’è dubbio che, proprio quando richiama la specificità del modo francese d’intendere la vita pubblica, la Le Pen sia in grado di parlare a uno spettro d’interlocutori assai ampio: ben al di là della classica contrapposizione destra-sinistra.
Quando ci si accosta alla vita politica francese è sempre bene tenere a mente come uno dei suoi elementi essenziali sia il legame di carattere metafisico con la Nazione e con lo Stato. Già molto prima della Rivoluzione, a Parigi è stata elaborata una mistica della dimensione pubblica che non ha eguali in Europa e che può condurre ad assumere le scelte più illiberali: in nome della sacralizzazione del potere e della collettività.
Quando nel 1687 Jacques-Bénigne Bossuet allora capo indiscusso della Chiesa francese pronunciò in gran pompa l’orazione funebre per il principe di Condé, al centro di quel sermone volto a celebrare un uomo darmi, che pure aveva in varia misura fiancheggiato i libertini e promosso la Fronda, egli pose due distinte e convergenti riconciliazioni: con Dio e con il Re. Il Condé fu esaltato per il suo rango e per le sue virtù di guerriero e condottiero, ma anche per le qualità di uomo pietoso e benevolente. Eroismo e santità, insomma, apparivano un tutt’uno. Già nella Francia del diciassettesimo secolo sembrava allora non esservi un chiaro confine tra ciò che è terreno (politico, civile, amministrativo) e ciò che è trascendente, dato che ci si riferiva alla Nazione usando spesso toni che altrove erano riservati unicamente alla divinità. Con la Rivoluzione francese, questo processo di sacralizzazione delle istituzioni si fece perfino ancor più radicale.
Per questo si capisce ben poco del sostegno di cui oggi gode la Le Pen se non si avverte la celebrazione della dimensione nazionale che accomuna tante aree politiche francesi, di sinistra e destra, rendendo così debole il liberalismo. Quando si rileva che molti ex-socialisti ed ex-comunisti ora si indirizzano verso il Front National, si deve ricordare che un certo repubblicanesimo è caro a tante famiglie politiche, e che il rigetto della globalizzazione in nome della comunità nazionale non è collocabile in maniera esclusiva su un lato o sull’altro degli schieramenti tradizionali. È proprio questa «religione civile», per usare il linguaggio di Jean-Jacques Rousseau, che allontana la Francia dal resto della società europea, ostacolando pure la convivenza al suo interno di identità religiose. Non è stata certo la Le Pen a vietare l’utilizzo di simboli di fede (croci, stelle di David, ecc.) in scuole e uffici pubblici, ma è anche grazie a tale sensibilità anti-religiosa perché repubblicana che un certo nazionalismo oggi appare tanto forte.
Se si considerano intellettuali molto presenti nel dibattito culturale e tanto diversi tra loro come il saggista Michel Onfray, il pensatore islamico Abdennour Bidar (figlio di una francese convertita) e il romanziere Michel Houellebecq è facile riconoscere come al di là delle differenze, che pure sono significative tutti appaiono schierati a difesa di quel laicismo che ha nella scuola pubblica il proprio pilastro fondamentale e che, a ben guardare, affonda in un modo d’essere dei francesi che è figlio di più di dieci secoli di storia nazionale. Quando due anni fa Bidar scrisse una «lettera aperta» ai suoi confratelli islamici per invitarli a ripensarsi e ammettere i limiti di tante loro istituzioni civili, uno dei temi su cui insistette fu proprio l’esigenza di fare propri i valori spirituali patriottici che l’educazione nazionale ha il compito di consegnare alle nuove generazioni.
Sotto taluni aspetti, Marine Le Pen sembra difendere in maniera più esplicita (e quindi anche più efficace) quella Francia di sempre laicista, repubblicana, centralizzata, dirigista al culto della quale i francesi sono stati formati. Non è quindi sorprendente se oggi ha più di una chance di successo.
Da Corriere del Ticino, 20 Aprile 2017