Sono cinque le mozioni relative alla riforma del mercato d’intermediazione d’autore a oggi in discussione nelle aule parlamentari. Appartengono a Scelta civica, Sel, Lega Nord, Nuovo Centrodestra e Movimento Cinque stelle. Sulla falsariga di quanto introdotto dalla legge di stabilità del governo Monti per i diritti connessi, le proposte condividono l’idea di aprire anche l’ambito oggi gestito da Siae alla concorrenza di diverse collecting society, come avviene già all’estero.
A fine gennaio Andrea Romano, deputato di Scelta civica, ha depositato una proposta di legge che prevede l’eliminazione della posizione di monopolio ma tutela anche l’esistente, lasciando alla Siae l’attività di accertamento, vigilanza e riscossione di contributi, imposte e diritti previste dagli articoli 182 bis e 182 ter della legge 22 aprile 1941 n.633.
Per ottenere questo scopo prevede uno scorporo delle attività gestite privatisticamente da quelle dell’ente pubblico. Rilievi mirati a questa proposta vengono dalla deputata di Sinistra e Libertà Celeste Costantino, anch’essa tra i sostenitori più accesi della riforma, secondo cui però il modello Romano, configurando la costituzione di due distinti enti finirebbe per creare aree di duplicazione dei costi. «Vorremmo una società di collecting che preveda una miglior gestione del repertorio, che imponga di versare compensi più rapidamente, che garantisca chiarezza riguardo alle fonti di entrata provenienti dalla gestione dei diritto», ha rimarcato la Costantino, citando, cosa piuttosto inusuale per un esponente di Sel, uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, notoriamente liberal, che denuncia (QUI) la minore efficienza dell’ente rispetto agli organismi stranieri equivalenti e un costo per gli autori, i discografici e i fruitori di opere musicali protette di circa 13 milioni di euro annui. «La Siae è la società in Europa con più dipendenti, con un rapporto raccolta-costi molto basso», ha concluso, «ma se è carente sotto tutti gli aspetti che abbiamo elencato, la responsabilità va ascritta all’indifferenza degli organi di vigilanza e all’inerzia del parlamento».
Non apertamente contro lari forma ma di certo più prudente è l’atteggiamento del Pd, come si evince dalle parole del deputato Roberto Rampi, che in aula ha ricordato come anche l’esperienza della liberalizzazione del diritto connesso fosse ispirata dall’idea «un po’ magica e un po’ automatica che dalla concorrenza nascano l’efficienza e la trasparenza, un’idea che spesso poi non si rivela vera». Rampi ha citato in tal senso «i contenziosi pericolosi che rischiano poi di danneggiare gli autori, perché tutto si ferma, tutto si immobilizza e chi avrebbe diritto ad avere la retribuzione del proprio lavoro ne viene privato».
Resta da capire allora se sia meglio uscire pienamente dal monopolio o lasciare a viale della Letteratura la gestione delle attività legate alla sua natura di ente di carattere pubblico. Il 2014 è anche l’anno in cui la Siae deve andare a ricontrattare gli accordi con molti broadcaster: anche per questo sono in molti a guardare di buon occhio la liberalizzazione. Fuori e dentro le aule di Montecitorio.
Da Pagina 99, 17 febbraio 2014