18 Settembre 2014
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Nel quadro europeo vi sono molte regioni animate da spinte separatiste. Oltre all’unità di Spagna e Regno Unito (contestata da catalani e scozzesi), è certo a rischio la tenuta del Belgio, dato che l’indipendentismo fiammingo va crescendo di elezione in elezione.
E situazioni calde esistono anche da noi, sebbene non sia facile dire quale sia la Scozia d’Italia e quale potrebbe essere, insomma, «l’anello che non tiene»: il luogo di disgregazione dell’unità costruita a metà Ottocento. Di primo acchito, si potrebbe pensare che le maggiori analogie con la situazione scozzese si ritrovino in Sicilia, che all’indomani della Seconda guerra mondiale seppe giocare la carta della propria diversità e conquistò un’autonomia particolarmente forte. Per giunta, se la Scozia ha i pozzi di petrolio, in Sicilia si pretende di tenere per intero le accise della raffinazione. Ma le analogie finiscono qui, dato che la dipendenza dell’economia siciliana dai soldi pubblici è talmente forte che ogni progetto separatista rischia di essere percepito dai più come autolesionista.
Un discorso in parte diverso merita la Sardegna, dove spiccato è il senso di un’identità ben definita. Fino a oggi, però, l’indipendentismo sardo ha patito un’attitudine alla chiusura etnico-culturale che gli ha impedito di fare presa sulla società più dinamica. Ora sta nascendo anche un indipendentismo liberale, che associa autogoverno e libero scambio, ma la strada da compiere resta lunga.
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