17 Luglio 2023
Il Foglio
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Il neoliberismo, come direbbe Totò, è un po’ come la nebbia: “Quando c’è, non si vede”. Il sito del Mulino, la rivista che più di tutte in questo momento sta interpretando la culture war della sinistra, ha ospitato un interessante dibattito a distanza tra Angelo Panebianco e Norberto Dilmore. Il primo ha sostenuto che considerare l’Italia un paese neoliberista è risibile perché “qui da noi nulla del genere ha mai attecchito”. La replica è particolarmente interessante perché non viene da un esagitato censore del capitalismo, ma da un nom de plume che, attraverso i suoi scritti, esorta la sinistra a non farsi risucchiare nel gorgo dell’estremismo. Lo studioso fa coppia fissa con Michele Salvati, uno degli intellettuali che più di tutti si sono battuti per modernizzare il Partito democratico e, ancor prima, il centrosinistra. Dilmore svolge principalmente due argomenti.
Il primo, che potremmo chiamare del neoliberismo malgré soi, suona così: “È difficile pensare che la narrativa neoliberista e le politiche da essa prescritte, che per trent’anni hanno dominato la scena economica internazionale sia nei paesi avanzati sia in quelli emergenti (ivi inclusa la Cina), non abbia avuto un impatto importante anche sull’Italia”. Il secondo, che chiameremo del neoliberismo asintomatico, è che “l’Italia fa parte dei paesi in cui le politiche neoliberiste, anche per il modo in cui furono adottate, hanno prodotto risultati positivi limitati, mentre in molti casi le misure intraprese hanno esacerbato problemi esistenti”.