La tassazione dell'economia digitale: due rischi da evitare

La discussione sulla tassazione ottimale dell'economia digitale sta entrando nel vivo e toccherà al governo italiano durante il semestre di presidenza venire alle conclusioni

30 Giugno 2014

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche Teoria e scienze sociali

La discussione sulla tassazione ottimale dell’economia digitale sta entrando nel vivo e toccherà probabilmente al governo italiano, durante l’imminente semestre di presidenza del Consiglio dell’unione, trarne le conclusioni. Il premier Renzi ha avuto il grande merito di cancellare, nei mesi scorsi, la cosiddetta web tax, sciaguratamente approvata con la legge di stabilità: dobbiamo auspicare che manifesti lo stesso equilibrio nelle sedi comunitarie.

Tuttavia, il clima ideologico di Bruxelles depone sempre più in favore di soluzioni draconiane. Ciò a dispetto del responso dei saggi incaricati dal commissario Kroes di studiare la faccenda: il gruppo ha reso un parere assai moderato rispetto alle previsioni, elogiando la direzione già intrapresa in materia di Iva e raccomandando una più intensa cooperazione, anche ai fini dell’opera dell’Ocse sull’erosione della base imponibile, ma scoraggiando l’adozione di un regime tributario separato per gli operatori over the top

Proprio questo è il primo pericolo da evitare: quello di rimodulare i meccanismi della fiscalità internazionale in modo tale da colpire opportunisticamente un settore dell’economia. L’identità dei soggetti non deve influire sulle norme che regolano l’imposizione: ogni tentativo di riforma che divergesse da questa prescrizione violerebbe i fondamenti dello stato di diritto. Tuttavia, questo principio di uguaglianza formale è una condizione necessaria per una riforma condivisibile, ma non è sufficiente. Un secondo rischio da cui guardarsi – più sostanziale – è quello di travolgere quel che rimane in Europa della concorrenza fiscale, una forza che ci beneficia tanto come consumatori, quanto come contribuenti.

Come consumatori perché anche noi godiamo dei beni e dei servizi prodotti in giurisdizioni più ospitali per le imprese, e lo facciamo a prezzi che, almeno in parte, traslano sull’utente finale il minor carico tributario del produttore. Come contribuenti perché la presenza dei paradisi fiscali limita, in qualche misura, la voracità degli inferni fiscali. Interrogarsi sulla necessità di adeguare i presupposti dell’imposta alla concreta realtà economica è lecito, ma non può diventare un pretesto per i governi per sottrarre a ogni vincolo le proprie già esose pretese.

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