Con tutto il rispetto per Papa Francesco, non vorrei essere nei suoi panni se – gravemente malato – venisse ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma. Il professore Paolo Maria Rossini, direttore dell’Area Neuroscienze dell’ospedale, ha infatti dichiarato ieri al Corriere della Sera che «il corpo umano non è proprietà del singolo, che ne può quindi disporre a piacer suo. Il corpo umano appartiene a Dio»: di conseguenza lui non interromperà le cure a nessuno per alcun motivo, anche contravvenendo alla volontà del paziente, irrecuperabile.
Quell’«appartiene a Dio» di sapore spaventevolmente medievale può forse andare bene per i papi, tradizionalmente curati appunto al Gemelli, ma ripugna a chi distingue tra fede e ragione. Di fronte a una simile dichiarazione, vale la pena di rispolverare il vecchio slogan femminista «il corpo è mio e me lo gestisco io».
La vita è mia, miei sono il dolore e la speranza, la rassegnazione e la paura, e io devo avere il diritto di decidere che non voglio più essere curato quando venire curato nutrito, dissetato significa soltanto prolungare uno strazio senza fine. Che anche lo Stato italiano sia arrivato a questa conclusione sia pure con immenso ritardo rispetto ad altri paesi europei dovrebbe essere una festa per tutti, anche e forse soprattutto per i credenti, nei quali dovrebbe forse prevalere un sentimento di carità cristiana.
Ma lasciamo pure in pace i credenti, dei quali rispetto la fede e la posizione. Pensiamo all’individuo. Scrivo queste righe mentre sto andando alla nuova fiera del libro di Milano per presentare un’opera fondamentale del pensiero liberale e mi azzardo a dire del pensiero umano. Si tratta di L’uomo contro lo Stato, di Herbert Spencer, a cura di Alberto Mingardi (Liberilibri, 300 pagine, 20 euro). Come in ogni grande opera, ognuno vi può trovare quello che vuole, per esempio gli oppositori della legge sulla morte assistita, potrebbero ben appellarsi a queste righe: «La grande superstizione politica del passato era il diritto divino dei re. La grande superstizione politica del presente è il diritto divino dei parlamenti». Vero, ma è molto più importante il principio cardine di questo capolavoro del 1884, cioè che ognuno ha diritto al massimo grado di libertà compatibile con la libertà altrui. In questo caso, il mio diritto di morire non intacca la libertà altrui, mentre chi non vuole che io smetta di vivere intacca la mia in nome di principi religiosi, etici o sociali che non condivido. Il principio che un uomo libero e liberale dovrebbe seguire è: «Più individuo, meno Stato». È un principio semplice quanto difficile da diffondere, in una società apparentemente libera eppure soggiogata da un eccesso di regole, limiti, leggi: «Non hanno una autentica concezione della libertà perché non hanno un genuino sentimento della libertà», scrive ancora Spencer; ovvero non c’è teoria che tenga se non si sente d’istinto il bisogno di indignarsi di fronte a qualsiasi limitazione della libertà, propria o altrui.
Da Il Giornale, 21 Aprile 2017