L’autonomia confusa col federalismo fiscale

Il dibattito sull'autonomia è vittima di strabismo: si parla di regionalismo differenziato come se si parlasse di federalismo fiscale

25 Giugno 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

Condurre in porto il regionalismo differenziato è tutt’altro che agevole. Lo sanno bene quanti ci hanno provato, dall’attuale capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia, quando era ministro per gli affari regionali e le autonomie nel governo Conte II, alla senatrice Maria Stella Gelmini, quando ricopriva la medesima carica nel governo Draghi. Anche stavolta, la strada per l’attuazione della riforma di Calderoli è tutt’altro che piana. Se mai si dovesse riuscire a definire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che costituiscono la delega in bianco della presente riforma, la questione primaria diventerebbe come conciliare il conseguente trasferimento di risorse per le regioni richiedenti maggiore autonomia e la perequazione per le altre, in un contesto di finanza pubblica in affanno come il nostro. C’è in ogni caso un motivo, per così dire, non tecnico, che aggiunge difficoltà alle difficoltà. Riguarda una sorta di strabismo nell’oggetto della controversia politica. Si ha infatti l’impressione che si parli sempre più di regionalismo differenziato (e dei suoi effetti) come se si parlasse di federalismo fiscale (e dei suoi effetti).

Si tratta invece di due questioni diverse, anche se legate. Il regionalismo differenziato è una terza possibilità tra le regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale. Grazie ad essa, le regioni che vogliono maggiore autonomia nella regolazione e nella gestione di materie di competenza concorrente possono negoziarla con un accordo bilaterale con lo Stato. L’esito della differenziazione sarebbe quindi la presenza, accanto alle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, di regioni a statuto ordinario che hanno siglato intese specifiche con il governo per il trasferimento di ulteriori funzioni. Il federalismo fiscale è invece la benzina nel motore del regionalismo. Di tutto il regionalismo, non solo delle regioni che chiedono, eventualmente, maggiore autonomia. L’acrimonia del dibattito sul regionalismo, incomprensibile nei toni più che negli argomenti, e le vicende economiche successive al 2009, anno di approvazione della legge delega del federalismo fiscale, hanno reso finora impossibile attuare definitivamente il principio di responsabilità fiscale che è alla base della riforma costituzionale del 2001, al punto da indurre le istanze politiche “federaliste”, o quel che resta di esse, a invertire i fattori e arrivare al più ampio e generale tema del federalismo fiscale attraverso il più ristretto e specifico tema dell’autonomia differenziata.

In sostanza, la seconda sembra usata anche come strumento per arrivare al primo. In questo modo, però, con un dibattito fortemente ideologizzato come quello che si sta sviluppando sull’argomento, si rischia di sprecare due volte l’occasione, a danno sia dell’una che dell’altro. L’autonomia differenziata riguarda la possibilità per le regioni di organizzare e gestire da sé determinate funzioni, pesando le proprie capacità e la propria adeguatezza come enti territoriali di governo, nonché le esigenze del proprio territorio. E una sfida per tutte, non solo per quelle più sicure delle proprie risorse (si legga: il Nord) ma anche per quelle del Sud. Quale Sud, poi, bisognerebbe chiedersi. La Puglia, ad esempio, negli ultimi venti anni ha accolto questa sfida e ha elaborato un modello di sviluppo economico che ha poco a che fare con l’immagine consueta del divario Nord/Sud.

La Campania nel non lontano 2018 aveva dato mandato al Presidente Vincenzo De Luca di avviare le trattative per beneficiare dell’autonomia differenziata.

Un confronto sul tema che ne faccia solo una ragione di cassa rischia quindi di essere un’occasione persa per chiedersi quale livello di capacità amministrativa si è raggiunto, si può raggiungere e si vuole raggiungere, sia a nord che a sud; quale modello di riparto di competenze riesca a conciliare libertà e responsabilità di fare da sé da un lato, e solidarietà verso le altre regioni dall’altro; quale idea si ha della distribuzione delle funzioni politiche e amministrative, e non solo delle risorse, tra livelli di governo.

In secondo luogo, parlare di autonomia differenziata come se si trattasse del federalismo fiscale rischia di gettare il bambino con l’acqua sporca. Ancora nel 2021, venti anni dopo la riforma costituzionale del 2001 e ben 15 dopo l’approvazione della legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale, la Commissione parlamentare che se ne occupa scriveva che la realizzazione della legge era avvenuta solo in parte e «il processo volto alla compiuta affermazione dei principi del federalismo fiscale è stato sinora caratterizzato da ritardi, incertezze, soluzioni parziali e reiterati differimenti». In particolare, restano inattuati il superamento della finanza derivata a livello regionale e la completa definizione dei Lep. L’autonomia differenziata progettata dal ministro Calderoli serve anche a questo: oltre a disegnare il procedimento per le intese tra regioni e governo, prende il toro del federalismo fiscale dalla coda e impone che al riconoscimento di ulteriori materie sia associata la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e la definizione degli strumenti di perequazione. In breve, prova a raggiungere il compimento del federalismo fiscale attraverso l’autonomia differenziata. In definitiva, le regole sul finanziamento dell’autonomia differenziata fanno fare un salto in avanti al federalismo fiscale, e anche per questo una discussione aperta servirebbe a non dimenticare gli obiettivi che di questo dovrebbero essere alla base, ossia quello della corrispondenza tra entrate e spese e del controllo della spesa pubblica.

Obiettivi che, insieme e non alternativamente alla solidarietà fiscale, caratterizzano un modello regionalistico efficace e democratico, che sia differenziato o che non lo sia. Parlare di autonomia come gestione di materie, e non solo come gestione di risorse, sarebbe utile a un confronto serio tanto sulla diversa adeguatezza tra le regioni, quanto sul completamento del federalismo fiscale. Un confronto pressoché impossibile, finché i toni saranno quelli a cui assistiamo in questi giorni.

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