«Trovo molto condivisibile le scelte compiute dal governo sul Reddito di cittadinanza» dice senza tentennamenti il professor Nicola Rossi, già parlamentare, economista e consigliere d’amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni.
Professore ci spieghi perché trova condivisibile la scelta del Governo di modificare il Reddito, stringendo le maglie per l’ottenimento della misura.
«Il Reddito di cittadinanza era sì una misura necessaria, ma è stata scritta e formulata pessimamente, forse da persone che non sapevano bene cosa stava succedendo. Per questo non ha funzionato come avrebbe dovuto. E’ ragionevole che le modifiche introdotte dal Governo partano dagli occupabili, ovvero da quel segmento di persone alle quali è lecito chiedere un impegno personale sul fronte lavorativo perché possono effettivamente offrirlo».
I sindacati, e la Cgil in particolare, evidenziano però come sia il lavoro a mancare. Dunque togliere il Reddito di cittadinanza agli occupabili, senza investire nelle politiche attive per creare lavoro, finirebbe per allargare a dismisura sacche già importanti di povertà.
«Da molto tempo è nota la debolezza delle politiche attive del lavoro ed è stato proprio questo uno dei problemi più seri del Reddito. E’ stato un errore averlo varato prima della costruzione dì un serio sistema di politiche attive. E temo, purtroppo, che questa assenza. durerà ancora molto a lungo. Nel frattempo, quindi, non vedo perché non ci si dovrebbe rivolgere alle agenzie private: pensare che solo il pubblico debba occuparsi del collocamento appare ormai come una bandierina ideologica. Voglio fare poi un’altra osservazione».
Quale?
«Non è vero che il lavoro non c’è. E’ molto probabile, invece, che il lavoro non ci sia dove ci sono i disoccupati. ovvero nel Mezzogiorno. e che invece sia il Centro-Nord ad avere bisogno di forza lavoro. La risposta. allora, è creare politiche che facilitino gli spostamenti al Nord di quanti hanno bisogno di un’occupazione».
Così facendo, però, il Sud verrebbe ulteriormente svuotato di giovani e di risorse, professore. E questo metterebbe una pietra tombale sullo sviluppo, atteso che siamo già una delle aree più demograficamente depresse del Paese. Cosa ne pensa?
«Ci si ostina a non comprendere che un livello salariale unico in un Paese con zone caratterizzate da livelli di produttività così difformi implica necessariamente lo spostamento della forza lavoro perché il mercato riesca a trovare un equilibrio. Questo processo è già in corso. Chi non vuole che i meridionali si muovano, deve necessariamente arrivare alla conclusione che il livello unico salariale non sta in piedi se i livelli di produttività sono diversi. Quando lo saranno saremo tutti lieti, ma fino ad allora o si muovono le persone o si varano salari differenziati. Capisco che trasferirsi lontano da casa non sia facile, specie per chi ha famiglia. Ma non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca, tanto più che le strade che abbiamo battuto finora per portare il Mezzogiorno al livello del Nord Italia si sono tutte rivelate sbagliate. Sono circa 30 anni che andiamo avanti con i fondi di coesione e i risultati sono quelli che vediamo».
Nel corposo pacchetto di modifiche al Reddito è previsto poi che coloro che assumeranno i percettori della nuova misura usufruiscano di una decontribuzione del 50% per i lavori stagionali e di un esonero totale per assunzioni a tempo indeterminato. Pensa possa funzionare?
«Non so se funzionerà. Forse oggi immaginerei qualcosa di diverso: se vogliamo dare una prospettiva agli occupabili ai quali si nega giustamente il Reddito di cittadinanza, dobbiamo dargliela non nel loro posto di residenza. E quindi mi domando se non sia più saggio sostenere le imprese nella costruzione o individuazione di residenze per i lavoratori che arriveranno dal Sud. Forse la cosa da fare è costruire una politica di accoglienza del lavoratore meridionale».
Il Nuovo Quotidiano di Puglia, 16 aprile 2023