Il peso dei dazi divide la maggioranza e porta gli alleati del tycoon davanti a un bivio: pro o contro l’Ue?
9 Aprile 2025
Il Riformista
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi IBL
Argomenti / Economia e Mercato
Le destre europee alleate di Trump accusano l’Unione di non essere stata in grado di prevenire i dazi. Ma la posizione in cui le ha messe il tycoon è molto scomoda ed esposta alle critiche. Secondo l’economista Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni e autore, di recente, del libro “Capitalismo di guerra”, la soluzione a quest’attacco commerciale senza precedenti dovrà essere comunitaria, ma i “contro-dazi” non sono la strada giusta. L’Ue dovrà cercare dei partner alternativi. Certo, se nel frattempo riusciremo a far ragionare gli Stati Uniti, ancora meglio.
Comincio dalle parole del finanziere Francesco Micheli, riportate nell’edizione di ieri de Il Riformista: «È una situazione peggiore di quella di Lehman Brothers nel 2008». È davvero così?
«C’è un aspetto su cui sono molto d’accordo con Micheli: se gli Stati Uniti manterranno la posizione che hanno preso e imporranno dazi simili a quelli presentati nel tabellone, siamo di fronte al più forte attacco al sistema di libero scambio globale dal 1930.
Oggi, a differenza del 2008, uno dei giocatori, Trump, ha spinto la prima tessera del domino e i suoi avversari, come Cina e Ue, potrebbero aggiungersi a lui, in base a come reagiranno. Possiamo tutti sperare che ci sia, anzitutto da parte della Casa Bianca, la comprensione del danno che potrebbe derivarne e quindi un minimo di continenza».
Sui dazi la destra italiana è divisa: Salvini definisce i dazi un’opportunità e auspica che sia l’Italia a prendere accordi con la Casa Bianca. All’opposto c’è Forza Italia, chiusa alle trattative e Meloni in mezzo, che prova a calmare le acque. Quali sono le prospettive?
«Nei dazi di Trump non c’è nessuna opportunità. Di crisi ne abbiamo viste, ma nessuna di queste aveva un responsabile così esplicito e consapevole. Non c’è motivo, né utilità per i singoli Stati di andare a negoziare, da soli con Trump, cose che non possono negoziare. Questo, però, non significa che quei leader europei, più legati all’amministrazione americana, non possano provare a farla ragionare. Non penso, poi, che a questo tipo di politica si possa rispondere con dei contro-dazi, non è una strategia utile».
A proposito di strategie utili, la task force di Palazzo Chigi con le imprese si prefissa di trovare dei rimedi ai dazi per sostenere i settori più a rischio. Quali sono le soluzioni percorribili?
«È importante che il governo italiano prenda contezza degli effetti che potrebbero avere questi dazi e capire, quindi, quali sono i settori più impattati, anche in chiave europea. Se da un lato sarebbe sbagliato, a livello comunitario, reagire con delle contromisure, dall’altra parte diventa ancora più importante cercare delle sponde esterne per aprire altri mercati. Bisogna capire quali sono, per le imprese italiane, i
mercati più strategici».
Ad esempio Cina e America Latina?
«Un’alternativa come gli Stati Uniti non c’è, però bisogna guardare alle aree con cui i negoziati sono più avanzati, penso all’America Latina: il trattato è concluso e deve essere ratificato. Dall’altro lato, non c’è dubbio che dobbiamo parlare seriamente con la Cina e prendere atto del fatto che lo scenario politico
è cambiato completamente. Avere un atteggiamento anti-cinese era sbagliato anche prima, oggi lo è doppiamente».
Le posizioni degli alleati di Trump sono adesso molto scomode. Dalle destre degli Stati membri, come Vox e Afd, non arrivano critiche contro il tycoon, ma lamentele sulla mancata prevenzione da parte dell’Unione in merito ai dazi. Che ne pensa di queste reazioni?
«È un’accusa pretestuosa e ingiustificata. Trump non ha fatto alcuna apertura in questo senso. Non più tardi di dieci anni fa, l’Europa stava negoziando un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Questo non andò in porto per l’opposizione di gran parte delle classi dirigenti europee. Quando stavamo negoziando per ottenere quell’accordo che oggi ci avrebbe messi, almeno in parte, al riparo, tutti quelli che oggi si lamentano erano a fare le barricate. Oggi la presidente von der Leyen propone uno scambio “zero dazi per zero”. È giusto, ma è esattamente quello che avremmo avuto da dieci anni se avessimo concluso il trattato»