14 Maggio 2019
Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Si è soliti guardare all’empatia in termini univocamente positivi. Ed è certo che la capacità di riconoscere nell’altro la nostra stessa umanità, fino al punto da riuscire a soffrire con lui quando è in una situazione difficile, manifesta un tratto di nobiltà. Quella che nella sua Teoria dei sentimenti morali Adam Smith chiamava «simpatia» ci dice che non siamo isole, che siamo naturalmente orientati a una certa benevolenza e condivisione, che siamo in qualche modo dotati dalla natura stessa a sviluppare una vocazione altruista, poiché nel volto altrui percepiamo qualcuno che ci trascende. Tutto questo non può e non deve essere negato.
Un recente volume dello psicologo statunitense Paul Bloom, Contro l’empatia (pubblicato in lingua italiana da Liberilibri), invita però a sapere usare con adeguate precauzioni tale attitudine, riconoscendone i limiti. In un certo senso, Bloom attualizza la distinzione – che è cruciale in Max Weber – tra l’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità, ricordandoci che quando vogliamo davvero agire per il bene del prossimo e più in generale della società non possiamo cedere ai sentimenti senza preoccuparci delle conseguenze di scelte e decisioni.
In un passo del testo Bloom ci ricorda come «di fronte al caso in cui uno specifico bambino dovesse morire ora o di venti bambini di cui non conosciamo i nomi che dovessero morire tra un anno, l’empatia potrebbe portarci a scegliere di salvarne uno». È chiaro che saremmo di fronte a una scelta drammatica e terribile, dato che ogni vita umana ha un valore infinito, ma è chiaro come l’esito di una decisione che portasse a sacrificare venti persone per salvarne una apparirebbe contestabile da più punti di vista.
L’esempio che lo psicologo utilizza non fa parte, per fortuna, del novero delle scelte di fronte alla quali solitamente ci troviamo. Lo schema però è ben noto e perfino usuale. In ambito politico, ad esempio, in varie circostanze dobbiamo optare tra iniziative assistenziali destinate a produrre risultati di breve termine, e strategie, invece, di più lunga durata, che fanno leva sugli incentivi e pongono le premesse per un superamento strutturale delle difficoltà sociali che muovono all’azione. In tal senso è significativo quanto affermato da Ou Virak, fondatore di un’organizzazione per i diritti umani a Phnom Penh: «La pietà è un sentimento pericolosissimo. La Cambogia deve uscire dalla sua mentalità da mendicante. E gli stranieri devono smettere di reagire basandosi soltanto sulle emozioni».
Riflettere sull’empatia, allora, è un altro modo per guardare al rapporto tra etica e vita associata, tra le regole di un agire orientato verso gli altri e una riflessione che ci aiuti a soddisfare le necessità altrui molto più che il nostro desiderio di «sentirci buoni». Una delle situazioni più comuni della vita quotidiana ci mette di fronte a mendicanti che domandano un piccolo aiuto. Qualche volta li aiutiamo e in moltissimi altri casi no. Può essere che tanti tra di noi spengano i propri scrupoli morali e siano guidati soltanto da un cieco egoismo, ma è indubbio che vi è pure chi non ritiene che cronicizzare l’elemosina e favorire un’esistenza senza lavoro sia qualcosa di socialmente desiderabile. Nel linguaggio di Bloom, quanti resistono di fronte all’istinto che li porterebbe ad aiutare mettendo mano al portafoglio antepongono la compassione razionale a una semplice empatia incurante dei propri effetti.
L’incrocio tra emozioni e responsabilità si ritrova in innumerevoli circostanze. Quando un bambino cade in un pozzo e gli operatori televisivi iniziano dirette interminabili dedicate ai disperati tentativi volti a salvare quella piccola creatura, ciò a cui si assiste è una spettacolarizzazione che finisce per creare una diffusa empatia. Milioni di persone iniziano a soffrire realmente e molti di loro sarebbero disposti a fare qualunque cosa pur di aiutare quel bimbo. Contemporaneamente, però, ci sono molti altri minori del tutto anonimi che stanno analogamente soffrendo in qualche sperduto ospedale, ma l’assenza dei riflettori fa sì che non riusciamo a nutrire per loro la minima attenzione.
Ovviamente le emozioni sono cruciali e tutti noi siamo impensabili senza i nostri sentimenti. Un atteggiamento davvero generoso, però, ci chiede di saper ascoltare anche la ragione, non limitandoci a soddisfare il nostro desiderio di autostima.
dal Corriere del Ticino, 14 maggio 2019