Dello Stato etico si può forse parlare al passato. Invece lo Stato dietologo appartiene al presente. A New York, l’ex sindaco Bloomberg aveva vietato la vendita di bibite gassate in bottiglie e lattine superiori al 500 ml (ma il tribunale aveva bocciato la misura). In Europa, Finlandia e Danimarca hanno adottato imposte sulle bevande zuccherine. Il governo di Copenhagen ha sperimentato un’accisa, presto abrogata, sugli alimenti con più del 2,3% di grassi saturi. Le persone sovrappeso “costerebbero di più” al sistema sanitario: penalizzando il loro stile di vita, verrebbero “aiutate” a cambiarlo. È un’aritmetica complicata. Un beneficio pubblico, difficile da dimostrare, implica rinunce concrete, che si verificano al ristorante o al supermercato. In molti sostengono che le “fat tax” rischierebbero di spostare i consumi verso alimenti altrettanto grassi, ma di inferiore qualità, con effetti paradossali sulla salute. L’emergenza obesità è una scusa formidabile per regolamentare la tavola, chiedendo un pedaggio per ogni trasgressione alla quaresima.
Non potendo costruire una società in cui tutti siano egualmente ricchi, lavoriamo a una in cui tutti siano egualmente magri. Lo sapevano già le nostre nonne: esistono cibi più sani e altri meno, anche se è la dose che fa il veleno. L’uomo però non è solo ciò che mangia: non si può pensare che abitudini e spot siano ininfluenti. Siccome non può obbligarci alla palestra, lo Stato ci tassa, unendo l’utile (incamerare nuove entrate) al dilettevole (indurci a comportamenti più virtuosi). Ci risparmi almeno la predica. È difficile che il fisco abbia successo dove hanno fallito le nonne: nell’insegnarci l’equilibrio.
Da Wired, maggio 2014
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