Le parole da tacere e i passi da compiere

Un susseguirsi di strategie buone a confortare, fomentandola, la rabbia del momento, ma non a governare il futuro del paese

23 Agosto 2018

Il Mattino

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Della immane tragedia del ponte Morandi, sembrano più le parole che si potevano tacere che quelle dette dopo aver contato fino a dieci.
Da un lato è più che comprensibile che la partecipazione emotiva trascini i sentimenti fino a poter appannare la lucidità di giudizio, specie in un momento dell’anno in cui l’immedesimazione con i veicoli venuti giù con intere famiglie a bordo si fa più penosa dato il clima vacanziero. Dall’altro lato, e a maggior ragione, è inaccettabile che i rappresentanti delle istituzioni politiche agitino gli animi, dando con le loro parole esattamente l’opposto di quello che pensano di restituire: inquietudine anziché sicurezza, incertezza anziché fiducia.

All’inizio dell’estate, tra un rogo e l’altro di autobus romani, la stampa nazionale dava la notizia dell’indizione di un referendum ampiamente voluto dalla popolazione della capitale per liberalizzare il trasporto locale, poiché la gestione pubblica è riconosciuta come pessima, per usare un eufemismo. Sempre all’inizio dell’estate, come ogni estate, tornava alla ribalta la questione delle concessioni balneari. Gli attuali vicepresidenti del Consiglio già nello scorso inverno preelettorale avevano (ri)cominciato a dichiarare guerra alla Bolkestein, la direttiva europea che fa del sistema delle gare periodiche il principio generale per l’affidamento delle concessioni.

Salvini accusava l’Europa «di voler scippare le spiagge a intere famiglie», mentre Di Maio prometteva agli ambulanti a Venezia che, se lo avessero votato, il giorno dopo le elezioni si sarebbe messo al lavoro per uscire dalla Bolkestein.

All’indomani della tragedia genovese, Di Maio accusava il Pd di aver prorogato la concessione di Autostrade «in barba a qualsiasi forma di concorrenza». Il governo intanto, salve le cautele di Giorgetti, pare studiare la rinazionalizzazione del servizio come maniera di riparare gli irreparabili ma non ancora chiariti errori.

Si può essere maliziosi, e pensare che a ogni politico piacciono, perché convengono, le proroghe e le deroghe che decide lui, e non quelle che hanno deciso altri. Così come piacciono solo le società pubbliche i cui dirigenti nomina lui, e non quelli che trova. O si può essere pessimisti, e pensare che non è nemmeno la convenienza politica a generare incoerenza, ma solo l’incapacità di governare in modo degno di questo verbo.

La tragedia di Genova chiederebbe pochi, semplici ma vigorosi passi: mettere in sicurezza, attendere i tempi degli accertamenti e nel frattempo ricostruire, sanzionare in ogni sede e per ogni responsabilità accertata, imparare la lezione e da essa guardare avanti. Solo così, e non inaugurando ogni volta nuove stagioni che sanno di vecchio, si può provare a dare a tutti noi cittadini il necessario e inestimabile senso di fiducia sia verso chi gestisce i servizi essenziali sia verso chi li controlla.

Per il momento, però, si è solo visto un susseguirsi di pesanti accuse, annunci di drastiche soluzioni, dichiarazioni incoerenti con precedenti posizioni e persino con le decisioni effettivamente assunte in Consiglio dei ministri proprio su Genova (su tutte, l’immediata revoca). Si è visto, cioè, un susseguirsi di strategie buone a confortare, fomentandola, la rabbia del momento, ma non a governare il futuro del paese assumendo l’unico compito fondamentale che uno Stato dovrebbe avere: far sentire al sicuro i propri cittadini.

Da Il Mattino, 22 agosto 2018

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