Il bail in sarebbe “incostituzionale”? Si tratta di norme che prescrivono una risoluzione ordinata di una situazione di bancarotta colpendo, nell’ordine, azionisti, obbligazionisti subordinati e senior e, infine, i correntisti che hanno depositi superiori ai 100 mila euro. Dire che queste norme sarebbero “incostituzionali” equivale a dire che incostituzionale, in Italia, è lo stesso concetto di fallimento.
La logica del bail in, peraltro, è molto chiara. L’obiettivo è proteggere i correntisti che si limitano a parcheggiare sul loro conto i propri risparmi, e che avrebbero limitata consapevolezza dei rischi connessi alla attività bancaria e scarsi incentivi ad informarsi circa la solidità dell’istituto che hanno scelto. Azionisti e obbligazionisti fanno un investimento: non è possibile non si informino sulle condizioni della banca su cui stanno scommettendo. Coloro che possono permettersi di tenere sul conto corrente cifre superiori ai 100 mila euro si suppone che siano persone con una sofisticata cultura finanziaria, o almeno in grado di avvalersi professionalmente dell’assistenza di chi ce l’ha. Il bail in, a ben vedere, tutela proprio le scelte più prudenti delle persone che, per qualsiasi motivo, non hanno sottoscritto titoli o hanno un deposito limitato. Tutela insomma il risparmio generalizzato, come richiede proprio la Costituzione.
È vero che la realtà ogni tanto è più complicata, che i piccoli azionisti e obbligazionisti talora hanno ceduto alle prestidigitazioni dei bancari a cui hanno chiesto consiglio, che la percezione della solidità del nostro sistema creditizio è stata a lungo falsata dagli improvvidi trionfalismi dei politici e dei giornali, che leggere il bilancio di una banca è una fatica per gli esperti, figurarsi per noi tutti. Ma non c’è riforma sensata del sistema finanziario che possa prescindere da una parola: responsabilità.
Una responsabilità che deve essere responsabilità degli amministratori davanti ai loro azionisti, responsabilità rispetto alle banche che hanno avuto una gestione meno avventate e che si vedono non riconosciuto il loro atteggiamento prudenziale, e infine responsabilità degli azionisti rispetto a se stessi.
Noi non potremo mai avere un sistema bancario più sano, se presumiamo che i piccoli investitori facciano bene a fidarsi delle banche a scatola chiusa, e se dopotutto non sbagliano a fidarsi della banche a scatola chiusa, perché nell’ora del bisogno interviene Mamma Stato.
Il bail in, in un Paese nel quale le famiglie detengono circa 200 miliardi di obbligazioni bancarie, e tragicamente il più delle volte della stessa banca in cui hanno un conto corrente, è politicamente difficilissimo da gestire. Lo è stato in una situazione relativamente “controllata”, come quella delle quattro banche. Figurarsi se nell’occhio del ciclone c’è un grande istituto di credito come MPS. Lo comprendiamo benissimo.
Ma ciò in cui stiamo assistendo in questi giorni è grave, anzitutto per la capacità della società italiana di leggere la realtà. Parlare di “incostituzionalità” del bail in, dire che le regole europee sono state scritte per “i più forti” (i soliti tedeschi) e contro di noi, ridurre insomma la situazione del sistema bancario italiano a un caso di cattiva lobby del governo italiano a Bruxelles è ancora una volta confondere l’interesse di pochi gruppi particolari con quello del Paese.
L’Italia non ha nessun interesse ad essere un Paese in cui il fallimento è incostituzionale, perché comunque paga Pantalone. E’ semmai interesse di chi ha male amministrato quegli istituti di credito, di chi ha scelto chi ha male amministrato, della politica che da sempre cerca di influenzare l’allocazione del credito e che, sotto sotto, vede la nazionalizzazione delle banche come un’opportunità in questo senso.
Non sono le regole ad essere contro l’Italia: semmai è certa parte della nostra classe dirigente, politici e no, che cerca di risvegliare un masochistico sentimento nazionalista fra quegli stessi contribuenti che considera, né più né meno, alla stregua di un bancomat.