Le reti 5G sono il nuovo nemico di chi teme l'innovazione

Ad ogni paura, la risposta è sempre la nostalgia di una realtà pre-industriale nella quale stavamo, tutti, molto peggio di ora

12 Agosto 2019

La Stampa

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Non c’è innovazione che non trovi un nemico. In tutto il mondo, le grandi imprese di telecomunicazioni stanno lavorando per le nuove reti 5G. L’obiettivo è quello di arrivare a una connettività ancora più ampia, consentendoci attività e applicazioni che tutt’oggi fatichiamo a immaginare. Le nuove reti utilizzeranno frequenze del campo elettromagnetico più elevate rispetto all’attuale 4G. Inoltre, uno dei vantaggi del 5G risiederebbe nel cosiddetto “beam-forming”, una tecnologia che consente di “direzionare” meglio il segnale, con l’obiettivo di migliorare la ricezione da parte dell’utente.

L’idea che l’esposizione a queste radiofrequenze possa avere effetti nocivi sull’essere umano sta armando una opposizione importante. Alla quale ha risposto una rassegna dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicata nei giorni scorsi, che sottolinea come non vi siano ragioni particolari per pensare che la rete 5G debba rivelarsi più pericolosa di quelle in uso. L’ipotesi di un’associazione tra radiofrequenze emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di tumori e leucemie non appare confermata dalle indagini epidemiologiche. Le associazioni che tengono alta la bandiera dell’allarme replicano che gli studi a disposizione non sono sufficienti. Il che è indiscutibile: il 5G è ancora una sperimentazione, le evidenze a disposizione sono naturalmente limitate. C’è però una storia, quella delle reti precedenti (GSM e 3G), da cui è possibile dedurre che i rischi dovrebbero essere limitati. Questo non basta a chi chiede l’applicazione del principio di precauzione: in assenza di una certezza assoluta, meglio non procedere.

La prudenza è un valore nelle cose umane. Ma le certezze assolute sono rare. Nessuno di noi, quando si alza dal letto, ha la certezza assoluta di arrivare a sera: e la più parte delle decisioni che ciascuno di noi assume, dagli affetti alle scelte economiche, si basa su ragionevoli supposizioni, che i fatti ogni tanto s’incaricano di smentire. Nei mesi a venire vedremo alzarsi sempre di più la bandiera degli anti-5G.

Ciò non avverrà per preoccupazioni legittime, ma semplicemente perché in Italia esiste un vasto fronte che si nutre di un’ampia serie di “no”. Questi “no” mettono assieme preoccupazioni pseudo-scientifiche, nel senso che non sono condivise della comunità scientifica, e la convinzione che tutto ciò che produce profitto sia di per sé sospetto. Siccome qualcuno “guadagna” col 5G, con gli ogm o con i vaccini, allora questo qualcuno dev’essere disponibile a tutto, incluso mettere in gioco la salute delle persone. Gli esseri umani nascono tutti uguali, ma se lavorano perii settore privato spuntano loro i canini da vampiro. Il guaio è che questo pregiudizio non regge a uno sguardo ravvicinato: è chiaro che un vaccino arricchisce chi lo vende, ma ciò non basta a escludere che produca beneficio a chi lo assume.

Il 5G promette di ampliare notevolmente la nostra connettività, aprendo la porta ad applicazioni tutt’ora inimmaginabili. Per questa ragione trova importanti difficoltà di finanziamento, che le telco in tutto il mondo cercano di superare attraverso forme consortili o accordi d’altro tipo. L’incertezza sui benefici attesi potrà rallentare le nuove reti, ma non ha senso che a fermarle sia l’appello al principio di precauzione. Gli unici a trarne vantaggio sono quei gruppi che diffondono paure le più diverse, alle quali danno sempre la stessa risposta: la nostalgia di una realtà pre-industriale nella quale stavamo, tutti, molto peggio di ora.

Da La Stampa, 10 agosto 2019

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