Le ricette senza volto

A parte la diversità delle proposte, i cittadini si chiedono chi sarà ad applicarle

19 Gennaio 2018

Il Sole 24 Ore

Nicola Rossi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Ancora un mese o poco più, e si va a votare. E, per una volta, nonostante le apparenze, abbiamo indicazioni circa gli obiettivi di politica economica.

Si tratta di indicazioni tutto sommato ragionevolmente chiare circa gli obiettivi di politica economica delle principali forze politiche che correranno alle prossime elezioni.

Nel centrodestra, la strategia di politica economica ruota è abbastanza evidente intorno alla proposta di introduzione di una fiat tax. Un’idea che appariva astratta fino a qualche tempo fa ma che è diventata concreta, praticabile e sotto molti punti di vista appetibile grazie al lavoro dell’Istituto Bruno Leoni e al dibattito che è ne è seguito in particolare sulle colonne del Sole 24 Ore (ora raccolto nell’e-book “Venticinque% per tutti: il dibattito”, nel quale chi scrive e gli altri autori della proposta rispondono a critiche e osservazioni). Una proposta opportunamente completata da un intervento in campo assistenziale (il “reddito di dignità” o, nella versione dell’Istituto Bruno Leoni, il “minimo vitale”). Una proposta, infine, irrobustita dalla esplicita previsione di un periodo di attuazione prudente e graduale. Indebolita, per altri versi, da ipotesi molto ottimistiche (e, nello stato attuale delle finanze pubbliche, arrischiate) circa l’emersione di base imponibile che ne conseguirebbe. Ma comunque una proposta chiara. Incentrata su una riduzione significativa della pressione fiscale (nella versione dell’Istituto Bruno Leoni, per un valore di due punti di Pil). Una proposta che se accompagnata da una ripresa concreta del processo di revisione della spesa diverrebbe più attendibile e corrisponderebbe, concretamente, a una riduzione del perimetro dello Stato.

Nello spazio mobile in cui si collocano i “non allineati”, la strategia di politica economica ruota invece intorno al reddito di cittadinanza o, per meglio dire, intorno a una delle tante versioni di reddito minimo. La differenza non è da poco. Non siamo di fronte, infatti, a un trasferimento monetario universale, individuale e incondizionato ma molto più realisticamente a un trasferimento condizionato destinato alle situazioni di disagio socio-economico e finalizzato alla protezione dalla povertà. Ma l’obbiettivo è comunque chiaro: porre al centro della strategia di politica economica il disagio sociale e le aree, purtroppo ancora molto diffuse, di marginalità. L’incertezza circa il destino dei trattamenti assistenziali oggi in vigore e la natura delle coperture previste per oltre il5o% nuove entrate e per oltre il 3o% caratterizzate da ampi margini di incertezza sono tali da collocare la proposta in un contesto di politica economica noto: più spesa, più entrate (e, se del caso, più debito). È una proposta radicalmente opposta almeno potenzialmente alla precedente e in piena continuità con il passato e con la memoria della nostra finanza pubblica.

Infine il centrosinistra. Qui, il quadro era chiaro fino a qualche settimana fa ed era imperniato sulla ipotesi di portare il deficit pubblico in prossimità dei limiti di Maastricht (3%), usare le risorse così liberate per ridurre le imposte e per operazioni strutturali, abbattere il debito per via della conseguente e più sostenuta crescita. Praticabile o meno che fosse, fondata o meno che fosse, la proposta era incentrata sull’idea (quanto meno opinabile) che il debito non costituisca un freno per la crescita ma che al contrario potrebbe liberarla. E in questo senso per un Paese con il nostro debito pubblico era un’idea “di rottura”. Come minimo, provocatoria Carica di dubbi, ma certamente, provocatoria (se non proprio temeraria). Ma da qualche settimana a questa parte il centrosinistra cerca di accreditarsi come “una tranquilla forza di governo”: non esattamente un profilo compatibile con la proposta di cui sopra Intorno a cosa ruota, quindi, la strategia di politica economica del centrosinistra per la prossima legislatura? L’ovvia risposta è che il centrosinistra si appresta a riproporre al Paese la strategia del “sentiero stretto” cui si è ispirata gran parte di questa legislatura: un mix in apparenza sapiente di flessibilità e prudenza, bonus e rinvii accompagnato da una paziente azione diplomatica in grado negli intendimenti dei suoi fautori di stabilizzare la finanza pubblica senza penalizzare la crescita ma secondo i detrattori incapace di incidere sulle debolezze strutturali del Paese, rinviando solo la inevitabile resa dei conti. Anche in questo caso, comunque, una proposta chiara In piena continuità con quel recente passato che la forza principale del centrosinistra vorrebbe che fosse la cifra della propria campagna elettorale.

Tre ipotesi di politica economica significativamente diverse. Tre diverse letture della società italiana. Dei suoi attuali punti di debolezza e dei suoi punti di forza Tre diversi messaggi agli italiani. Tre indicazioni di policy la cui coerenza rispetto al quadro di vincoli prevalente oggi e presumibile domani in Europa è ancora tutt’altro che acquisita. La cui compatibilità con un percorso di rientro del debito pubblico è tutt’altro che scontata E questo, sia chiaro, vale per tutti e tre i casi citati, perché in quest’ambito sono i dettaglia fare la differenza, il che porta ad una conclusione che è al tempo stesso una richiesta. È inutile, in piena campagna elettorale, chiedere che i partiti ci presentino, al centesimo, i conti impliciti nei loro programmi. Potrebbero non farlo. Nemmeno sotto tortura. Piuttosto, proprio perché sembra chiara, in tutti i casi, la meta finale ma non il percorso vorremmo, come cittadini ed elettori, che ci venisse indicato per tempo il nome del guidatore. Il nome di chi dovrebbe condurci verso la fiat tax, verso il reddito di cittadinanza, lungo il “sentiero stretto” senza farci correre rischi eccessivi anzi riportandoci in pieno al livello dei nostri partner europei.

Sappiamo bene che il governo prossimo venturo potrebbe essere un governo di coalizione la cui composizione non potrebbe che dipendere dai rapporti di forza usciti dalle elezioni. Ma se, per ipotesi, ognuna delle forze politiche citate si trovasse a disporre della maggioranza dei seggi in Parlamento, a chi affiderebbe la guida della politica economica? Potremmo votare avendo in mente una faccia, oltre che una sensibilità culturale? È troppo chiederlo?

Da Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2018

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