Tra il 2008 e il 2012, i fallimenti delle imprese per mancato pagamento dei committenti pubblici e privati erano più che raddoppiati rispetto agli anni precedenti. Si è fatta strada da allora l’ennesima emergenza di Stato, che non era in sé tale, ma che veniva dall’inerzia della pubblica amministrazione: non onorare i propri debiti.
Nel 2013, il governo Letta – con un sistema di garanzie delle banche e di Cassa depositi e prestiti – metteva a disposizione 56,3 miliardi perché gli enti pubblici, in particolare quelli territoriali, emettessero le fatture dovute, la maggior parte delle quali da imputarsi a spesa corrente.
Ulteriori risorse per gli enti periferici sono state messe a disposizione anche dal governo di Renzi, il quale nel 2014 fece agli italiani la promessa che entro il 21 settembre di quell’anno tutti i debiti della PA sarebbero stati pagati.
Le promesse dei politici sono più solide di quelle dei marinai: si reggono sulle gambe della scarsa memoria e dell’acquiescenza delle persone. Ma sono anche più dannose. Le imprese e i professionisti non possono accontentarsi di crediti esigibili ma non pagati, come delle promesse non mantenute.
Secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero dell’economia (agosto 2015), di 7.000 milioni di euro stanziati lo Stato ne ha effettivamente pagati 5.780; di 33.189 delle regioni, ne sono stati pagati 23.312; di 16.100 degli enti locali, 9.593. In totale, 38.685 milioni su 56.289.
Nel tempo, passata la furia mediatica, il ritmo di pagamento è rallentato, e resta ancora da saldare il 31% delle risorse stanziate da più di due anni, mentre, c’è da immaginare, nuovi debiti vengono contratti.
Promesse a parte, era tutto, in fin dei conti, prevedibile: la questione dei pagamenti dei debiti non dipende solo dallo Stato, anzi. I principali imputati sono gli enti periferici, che hanno faticato persino a censire i debiti pendenti. A questa frammentarietà, che sfuggirebbe a qualsiasi governo centrale, si aggiunge il problema della contabilizzazione: farli emergere significa imputarli a debito pubblico, cioè al principale problema che ha il nostro paese, anche non ci fossero i vincoli europei. Molto più comodo lasciarli al debito privato e magari, come hanno fatto le regioni, usare i soldi messi a disposizione per pagare i creditori per affrontare nuove spese o coprire il pregresso disavanzo di amministrazione.
Le imprese falliscono, di norma, perché non riescono a pagare i propri debiti. Meno normale è che falliscano perché non riescono a riscuotere i propri crediti: il sistema giuridico ha gli strumenti necessari per provare ad affrontare questa evenienza. Se però il debitore è la PA, le cose cambiano. Non è, purtroppo, solo una faccenda di fallimenti, crescita economica e percentuali di Pil. E’ una vera e propria questione morale di non aver superato le pesanti eredità da Ancien Régime: uno Stato, direbbe Belli, che tutto può perché è «lo soprano», e un suddito che nulla può perché è un «sor vassallo bbuggiarone».