Liberalizzazioni, i farmacisti non mollano: «Apriremo 3mila negozi»

Il mercato della distribuzione dei farmaci è ancora molto ingessato

2 Marzo 2015

Il Secolo XIX

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Processo ai farmacisti: «Il titolo di farmacista è come un titolo nobiliare che viene trasferito di padre in figlio, senza concorso: non conta la laurea e quanto hai studiato, contano solo criteri ereditari e di censo. E’ una cosa abominevole», accusa Davide Gullotta, catanese, giovane presidente della Federazione nazionale delle parafarmacie. E dalla grande distribuzione, catene come Coop o Conad, rincarano la dose: «Col ddl concorrenza si è persa un’occasione». E ancora: i titolari di farmacia, «si preoccupano di mantenere i loro privilegi di casta ed economici» più che pensare ai cittadini, sostiene Sergio Imolesi, segretario generale di Ancd Conad. Sul fronte opposto i titolari di farmacia fanno muro.

«Non siamo noi che freniamo le liberalizzazioni, il nostro è un settore abbondantemente liberalizzato da anni ed a breve apriranno pure le 3000 nuove farmacie volute da Monti», spiega Annarosa Racca, presidente di Federfarma, la federazione dei titolari di farmacia. «Noi come federazione non freniamo nulla. Non ci siamo mai schierati, né rispetto a ricorsi alla Corte di giustizia europea né su quelli presentati alla Corte Costituzionale, compresa la recente pronuncia sui farmaci di fascia C», assicura di suo Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli ordini. Che intanto, però, siede pure in Parlamento in qualità di senatore di Forza Italia. E se gli si fa notare che lui potrebbe essere la personificazione della lobby dei farmacisti risponde: «Direi proprio di no. Gli ordini sono enti nati nel 1947 per tutelare i cittadini, non siamo certo un sindacato. Il sindacato è una cosa diversa».

Il business della fascia C
L’ultima «pietra dello scandalo» è rappresentata dalla mancata liberalizzazione dei farmaci di fascia C a totale carico dei consumatori. Un business che da solo vale circa 3 miliardi di euro l’anno, ovvero il 17% delle vendite totali di farmacie e parafarmacie (22 miliardi, di cui 16 di prodotti strettamente farmaceutici). Il ministro dello Sviluppo ha provato a porre la questione, nonostante a luglio la Corte Costituzionale avesse avallato come «non irragionevole» l’esclusione delle parafarmacie, ma ha dovuto rinunciarvi. Ovviamente parafarmacisti e grande distribuzione non accettano che Federfarma abbia avuto la meglio. «È illogico e fuorviante perseverare nella difesa corporativa di chi gode di rendite di posizione ormai anacronistiche – spiega Imolesi -. Il mercato dei farmaci di fascia C è monopolio delle farmacie tradizionali, un mercato a cui evidentemente non intendono rinunciare, anche se produce inefficienze e prezzi alti, spesso inaccessibili alla fasce più povere della popolazione».

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