L'industria in maggiore crescita nel Paese deve fare i conti con problemi di trasporti dovuti al corporativismo dei taxisti. E si complicano le regole per le case vacanza
4 Agosto 2024
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Politiche pubbliche
In un’Italia in seria difficoltà in vari suoi comparti produttivi, uno dei settori probabilmente destinati a crescere ulteriormente negli anni a venire è il turismo. E se dopo la fine della Seconda guerra mondiale e con il boom economico era soprattutto il sole delle coste adriatiche ad attrarre i villeggianti del Nord Europa, oggi sono le città storiche a essere costantemente invase da comitive provenienti da mezzo mondo.
Questo risulta dal combinarsi di due fattori: il primo è che l’Italia – a suo modo – è unica, disponendo di un patrimonio monumentale e artistico che affonda nella Magna Grecia e giunge fino a oggi attraverso l’età romana e quella medievale, il Rinascimento e via dicendo; il secondo è che muoversi oggi è molto facile, grazie al costo contenuto dei voli aerei. Quale che sia la qualità del sistema ricettivo italiano, chi dall’Asia dalle Americhe vuole visitare Agrigento, Firenze o Romapuò giungere da noi utilizzando uno dei circa 40 aeroporti della penisola.
È certo vero, però, che per essere più efficaci sul piano turistico dovremmo avere un sistema dei trasporti assai migliore. Bisognerebbe allora superare blocchi corporativi come quelli dei taxi (che a Milano, ad esempio, sono costosissimi) e proseguire sulla strada delle liberalizzazioni, perché in campo ferroviario una realtà come Italo aiuta senza dubbio a migliorare la qualità, ma altri soggetti in competizione con Trenitalia produrrebbero soltanto effetti positivi.
Libertà di impresa
C’è poi l’esigenza di liberare le energie imprenditoriali compresse da una regolazione assurda. Se ad esempio si osserva quanto la ministra Daniela Santanchè ha fatto di recente nel campo degli affitti brevi, è chiaro che s’è imboccata la strada sbagliata. Invece che liberalizzare il settore e favorire l’intrapresa di chi è interessato ad affittare una camera o un appartamento, le nuove regole hanno creato una ragnatela normativa che spinge molti a rinunciare. Quando chi mette a disposizione una stanza è trattato alla stregua del manager di un hotel, non ci si può aspettare investimenti nel settore.
Il futuro delle città
Se Roma moltiplica leggi e adempimenti, a livello locale non sono da meno. I sindaci di Venezia e Firenze hanno esplicitamente dichiarato guerra al turista, forse nell’illusione che la città toscana possa tornare a essere una capitale della finanza (come era al tempo dei Medici) e che la città lagunare possa essere ancora il principale mercato delle spezie (come quando a Rialto affluivano commercianti da tutto il mondo). Ormai è nell’uso corrente la formula “non è Disneyland”, a indicare che ogni città italiana dovrebbe contrastare il turista: ad esempio, mettendo un biglietto d’ingresso, come s’è fatto – con esiti fallimentari – proprio a Venezia.
Quello che molti non comprendono è che i veneziani si dedicherebbero alla pesca e i fiorentini all’artigianato se quelle attività dessero redditi dignitosi, ma non è così. Se nelle due città si predispongono camere per i turisti e nascono ristoranti lo si deve al fatto che il processo in atto non può essere arrestato: gli stranieri vogliono visitare le nostre bellezze e noi italiani, spesso, non abbiamo altri modi per mettere assieme il pranzo con la cena. Per giunta, se prima di morire un cinese su 10 nei prossimi anni vorrà vedere il Colosseo e passare due giorni a Roma (e lo stesso possiamo dire per indiani, messicani, indonesiani ecc.), questo significherà parecchi milioni di visitatori ogni anno nella Città eterna.
Più in generale, bisogna capire cosa si vuole essere e, soprattutto, quale quadro giuridico si auspica. È evidente, infatti, che nei ministeri e nelle amministrazioni comunali non c’è grande interesse per i nostri diritti: non hanno a cuore la libertà di ognuno di noi di muoversi come imprenditore, non c’è rispetto per i proprietari, e neppure si ritiene che gli stranieri abbiano un qualche titolo a conoscere il nostro passato. Al contrario, i politici hanno una loro idea ben definita di come debba essere l’Italia e ci trattano quali pedine che devono stare al loro posto.
In virtù delle pressioni lobbistiche che riceve, spesso chi governa è per giunta controllato dalla lobby alberghiera, che combatte la micro-imprenditoria della sharing economy e di piattaforme come Airbnb. Dicono di voler preservare le città, ma in verità perseguono logiche pianificatorie, convinti di sapere cosa sia meglio per tutti e persuasi di essere autorizzati a imporlo. Al contrario, si dovrebbe comprendere che il turismo è un’attività come un’altra, che deve svilupparsi nel rispetto dei diritti del prossimo. E se un’azienda siderurgica non può inquinare la mia aria, anche chi gestisce una discoteca deve fare in modo che questa attività non mi disturbi di notte.
Una cosa, però, è difendere i diritti e un’altra cosa è voler governare le città, e quindi le nostre esistenze, sulla base di valori tutt’altro che condivisi: spesso tassandoci per finanziare iniziative ridicole. Nessuno ha deciso che l’Italia doveva diventare una meta del turismo internazionale; gli stranieri sono arrivati e molti hanno pensato di mettersi al loro servizio, predisponendo spazi e attività. Quando la nostra classe politica inizierà a rispettare la realtà che ha di fronte, e comincerà a sospettare che c’è molta più saggezza nello spontaneo delinearsi dei fenomeni sociali rispetto a ogni programmazione autoritaria (tutta top-down), si sarà mosso il primo passo nella giusta direzione.